Festeggiare l’otto marzo significa celebrare una festa che non dovrebbe esistere, ma che, come il 25 novembre, sentiamo il dovere di dover ricordare ancora e ancora.
Tale festa ha in realtà origine all’inizio del XX secolo con l’8 marzo 1917, data in cui le donne russe manifestarono per chiedere la fine della guerra. Successivamente, durante la Seconda conferenza Internazionale delle donne comuniste nel 1921, fu deciso che l’8 marzo avrebbe rappresentato la Giornata Internazionale dell’operaia.
Per quel che riguarda la nostra storia, nel settembre 1944 a Roma venne istituito l’UDI, Unione Donne Italiane, decidendo di celebrare il successivo 8 marzo come giornata della donna.
La prima manifestazione della Festa della Donna si svolse però solo nel 1972, in piazza Campo de Fiori a Roma.
La problematicità si rivela manifesta negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, periodo in cui, la festa sfocia verso derivazioni “pop” che si rivelano dannose per il senso della giornata stessa.
L’usanza di regalare la mimosa, di festeggiare con le amiche o con il proprio partner, fa trapelare un’immagine che ricorda più San Valentino che una giornata di lotta.
Piccola parentesi: navigando online ho individuato la frase “Regalare un ramo di mimosa per l’8 marzo è d’obbligo ma abbinare altri fiori può essere un’idea originale per sorprendere le donne della tua vita!”.
Questa frase figura su uno dei primi siti presenti sul web riguardante il tema “Festa della Donna”.
Essere vittime del patriarcato significa anche questo: usare termini paternalistici che sottolineano quanto il gentil sesso sia semplicemente un fiore da curare e accudire.
Il fatto che non esista la festa degli uomini rende l’idea di quanto questa giornata, posta in tali condizioni, risulti essere una presa in giro e una mancanza di rispetto.
In quanto persona che si identifica come soggettività femminile, mi sento offesa e umiliata nel dover avere una giornata speciale che rappresenti la mia categoria, o meglio la mia minoranza. Anche se le donne non sono una minoranza.
Ma sì, so che è necessaria, nei termini in cui si impone come un giorno di riflessione, manifestazione e lotta e nelle modalità in cui rappresenta un megafono forte e presente, incessantemente costante.
Se vi regalano mimose o vi portano a cena fuori, invitateli a manifestare insieme a voi.
Foto da THE VISION
Una risposta
Otto marzo
È una festa
macchiata di sangue
e senza mimose
quest’oggi
Non posso neanche parlare
di indipendenza e lavoro.
Troppo il dolore
che piove dal cielo
sui corpi dei bimbi
e troppa la sofferenza
di madri
che piangono i morti.
Non posso barare
con carte
macchiate di rosso
o giocare all’otto di marzo
facendo gli auguri
alle donne italiane
scambiando con loro
confezioni
di baci
e gialle mimose odorose.
Troppe le donne orientali
violentate ogni giorno,
private dei loro fiori
con coltelli e rasoi.
Troppe le donne
bruciate sul rogo
dei loro mariti
e le donne nascoste,
velate da manti d’azzurro
che non fanno pensare
ai cieli puri,
piuttosto a cieli
in cui piovono bombe,
Donne che la legge
non protegge,
donne che l’uomo priva
di studio,
di una vita futura
o costringe
a piangere i figli
mandati a morire,
soldati,
per la follia della guerra.
Oggi non riesco a parlare
neanche della parità dei diritti
che tanto esaltiamo.
Ci sono baratri
di dolore,
abissi di sofferenza,
altrove
che mi fanno tacere.
Bianca Fasano