di Vittoria Loffi
Da oggi, il Vaticano ha ufficialmente individuato due avversari responsabili dell’inverno demografico in Italia: il grande classico delle interruzioni di gravidanza, e – a sorpresa- gatti e cani.
Da attivista pro-choice (e incidentalmente proprietaria di un cane ancora cucciolo), tendo a non dare particolare attenzione alle dichiarazioni estremamente prevedibili di Papa Francesco quando si tratta di aborto; il vero colpo di scena ci sarebbe qualora il Papa decidesse di riconoscere la libertà di scelta e dunque combattesse lo stigma, le violenze e le discriminazioni che colpiscono le donne che decidono di abortire nel nostro paese, anziché invitare farmacisti a violare apertamente la legge 194/1978 esercitando obiezione di coscienza, come successo qualche mese fa.
Ma questa mattina, donne e uomini proprietarie e proprietari di animali domestici hanno scoperto di rappresentare una ulteriore fonte di problemi secondo Papa Francesco, perché questi, occupando il posto destinato a dei figli, sembrano costituire una via di fuga dal dovere supremo della maternità e della paternità. Il Papa ha dunque deciso di sfruttare il rapporto che ciascuno può avere con i propri animali come ulteriore strumento di colpevolizzazione della libera scelta di non avere figli.
Da ‘semplice’ contraltare dell’ideale vaticano di donna-e-madre perché fra le coordinatrici di una campagna volta a promuovere i diritti riproduttivi (“Libera di abortire”) e con lo scopo di garantire a tutte le persone in Italia il libero accesso all’aborto, ne sono diventata triplamente antagonista in un solo giorno: senza figli (e senza volerne) e con un cane. Rientrando, quindi, tra le persone che si sottraggono al compito della maternità ed essendo stata bollata come più egoista e meno umana, vorrei cogliere l’occasione per ricordare qualche dato rivoluzionario che anni di storia femminista hanno contribuito a portare alla consapevolezza comune.
La maternità non dovrebbe essere vista come un destino, un dovere e nemmeno come un privilegio femminile, ma un mero dato biologico. Una donna può garantire la riproduzione, perché il suo apparato riproduttivo le permette di gestare, ma può anche decidere di non farlo. Ricercatrici, sociologhe, filosofe femministe si sono passate il testimone nel raccontare come non esista alcun naturale desiderio o istinto materno che giustifichi l’obbligo socio-culturale di diventare madri, ma esistono esclusivamente scelte di vita diverse. Il continuo confondere un dato biologico con un dato sociale e culturale fornisce terreno fertile a figure come Papa Francesco per colpevolizzare donne e uomini che decidono di non avere figli – perché non fa parte dei loro progetti di vita o perché l’attuale scenario socio-economico glielo impedisce – e decidono, invece, di adottare animali e dar loro una casa senza che questo rappresenti per loro un aut aut.
Da donna convinta che il suo apparato riproduttivo non sigilli un destino, da abortista impegnata per il rispetto dei diritti riproduttivi in Italia e nel mondo, e da padrona di un cane di 11 mesi che si è ritrovato in canile perché una bambina si aspettava per regalo un cavallo e non lui (sic!), penso che Papa Francesco, così preoccupato dall’inverno demografico che sta attraversando il nostro paese, dovrebbe altrettanto preoccuparsi di non rappresentare la massima istituzione contraria alle adozioni aperte a coppie dello stesso sesso, alla procreazione medicalmente assistita, alla gestazione per altri, tutte possibilità che garantirebbero non solo un aumento nelle adozioni (auspicato dal Papa stesso), ma anche una risposta al vertiginoso calo delle nascite portando alla luce figli che potranno essere amati pienamente perché desiderati e non perché in risposta ad un compito sociale. Pensate quanto sarebbe sorpresa la maggioranza del Parlamento se ad esempio il Papa facesse appello per equiparare il congedo di paternità a quello di paternità.Colpevolizzare la scelta di non avere figli e negare qualsiasi diritto alle coppie ‘non-convenzionali’ che li vorrebbero non porterà a nulla, se non a donne e uomini (cani e gatti) molto offesi.