Top chart dei peggiori candidati (di qualcuno) che minacciano i diritti (di tutti)
“Chiamatemi Giorgia“- esorta la Premier Meloni, alla prova delle europee. Una mossa sagace, sicuramente in grado di capitalizzare l’ampio consenso di cui la Presidente del Consiglio (già) gode. Dalle interviste all’estetista della Garbatella (che ci assicura, con un sorriso, che è proprio “una di noi”), sino alle famose gag della giacca arrivate al Wall Street Journal, è chiaro che Meloni vuol davvero convincere i propri elettori di incarnare il mito de “la ragazza della porta accanto“, di quell’“una su mille” che, come cantava Gianni Morandi, finalmente “ce la fa.“
Una parabola di autoaffermazione dal basso che lascia ben sperare chi le ha concesso il voto, fiducioso che le proprie istanze – al di là degli snobismi Cottarelliani, e di quel Letta del PD che nemmeno era in grado di “sudare”- conosceranno finalmente una risposta. Ma sebbene, a colpi di demagogia, Meloni non manchi mai di ricordarci che “possiamo darle del tu”, la prova dei fatti ci rammenta anche, per esempio, l’abolizione del reddito della cittadinanza, e la guerra ai presunti ventenni che, alla nobile fatica del lavoro, avrebbero preferito impigrirsi sul divano; punta di diamante della sua aggressiva campagna elettorale pre-insediamento. E perchè non menzionare, tra l’altro, il veto alla pdl sul salario minimo: i tagli alla sanità, i rincari sulla benzina, il dietrofront, dinanzi al vagheggiato foglio di via all’Iva sugli assorbenti e le tasse che, con la perifrasi “pizzo di stato“, rischiano di venire equiparate ad un onere accessorio, che pericolosamente strizza l’occhio all’evasione.
Non bastasse poi quella villa con piscina in zona Torrino, che vale più di un milione di euro, a ricordarci che Giorgia è una professionista della politica, e non “la cugina romana” (come puntualizzava anni fa, con sagacia, Michela Murgia), varrebbe a questo punto la pena di chiedersi perchè, quando il dito indica la villa, lo stolto fissi ostinato il Rolex a Matteo Renzi.
Non molto meglio riesce a far Salvini, che dopo aver tuonato “più Italia, meno Europa” (slogan che,subito, provvede a rammentarci i vari ed eventuali “chi sceglie la Lega, sceglie meno Europa”, “L’Euro non mi piace, l’Italietta della Lira correva più della Germania”, nonché la sempreverde ossessione per Macron e Von Der Leyen, nemici dell’autarkeia), propone il candidato più improbabile di tutti: il generalissimo Roberto Vannacci.
Autore del bestseller auto-pubblicato “Il mondo al contrario” (ove il generale si scaglia con linguaggio sessista e discriminatorio contro “la dittatura delle minoranze”), verrebbe da domandarsi se sia proprio il caso che un candidato che definisce a chiare lettere “l’omosessualità” una deviazione “dalla normalità” assurga con ogni onore al trono di Strasburgo.
E se i giornalisti, in conferenza stampa, fiduciosi nel monito Salviniano secondo il quale ” Vannacci ci salverà dai venti di guerra macroniani“, s’aspettavano che il generalissimo descrivesse con dovizia scenari geopolitici presenti e futuri, quest’ultimo, s’è ritrovato invece a menzionare “crocefissi sradicati, identità perdute e campane”, esprimendo il proprio vivo sdegno per quella “paccottiglia d’Europa“, in cui osano addirittura voler essere ” tutti inclusi.”
“Più Italia!- Si battono il petto, orgogliosi, Salvini e Vannacci -Perchè volere più Europa, invece, significa far mangiare pane marmellata ad un diabetico.”
Sarà. Ma memori di tutti gli sforzi compiuti per poter trovare spazio, tra quelle stelle d’Europa, guardiamo almeno con sospetto a chi minaccia l’ipotesi che il nostro astro possa (davvero) spegnersi.