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Bilancio Meloni, poche luci e molte ombre per le donne

Anche la prima premier donna della storia italiana deve cedere il passo alle pressioni dei suoi alleati uomini nel confezionare l’atto d’esordio del suo governo: la stesura definitiva della legge di Bilancio depotenzia nettamente le misure annunciate in favore delle donne nella conferenza stampa di presentazione, dai vantaggi pensionistici alle lavoratrici con figli all’incremento dell’assegno unico e dei congedi parentali.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha parlato di “un accento di politica di famiglia che rappresenta una novità”, e già la scelta del termine – accento – fa capire che il nocciolo, il sostantivo forte dell’intervento, non va cercato in questo ambito ma altrove. Basti guardare il capitolo Quota 103 (l’ennesima norma-ponte per evitare che scatti la riforma Fornero): secondo la stima condurrà alla pensione 64mila persone, quasi tutti uomini visto che quel tipo di continuità contributiva è molto rara tra le donne, mentre la revisione di Opzione Donna consentirà appena 2.900 pensionamenti anticipati.

Sul resto, vale la regola del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, dipende dalla valutazione di chi guarda. C’è molto meno rispetto alle promesse del testo iniziale del governo e qualcosa in più rispetto allo zero assoluto, ad esempio la riduzione al 5 per cento dell’Iva sugli assorbenti e sul latte in polvere per l’alimentazione dei neonati, ma anche la maggiorazione del 50 per cento dell’assegno unico, che avrà un peso soprattutto sui bilanci dei più poveri con un Isee sotto i 15mila euro.

Dunque una valutazione sul “tasso di amicizia” del governo nei confronti delle donne dovrà aspettare altre prove, altre iniziative. Ad esempio il pacchetto sicurezza che dovrebbe cancellare alcuni bug delle norme a tutela della violenza e dello stalking, imponendo magari il braccialetto elettronico ai persecutori come unica alternativa al carcere. Avrebbe dovuto entrare in un provvedimento post-natalizio del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ma anche qui pare che sia passata la tesi di un rinvio in attesa di un miglior accordo nella maggioranza. Oppure, l’imminente tornata delle nomine ai vertici dei grandi enti di Stato e partecipate pubbliche, che da oggi a primavera sono almeno settanta: il ministro Guido Crosetto ha detto che si dovrà “usare il machete”, vedremo se sarà in favore di un’altra leva tutta al maschile o se le competenze femminili troveranno spazio.

Per il momento il dato più evidente riguarda la differenza tra la manovra annunciata da Giorgia Meloni e quella uscita dalle aule parlamentari dopo un’arruffata contesa tutta interna alla maggioranza. Ed è innegabile che i paragrafi in favore del mondo femminile siano tra i più sacrificati dal lavoro di taglia e cuci svolto per mandare in porto la barca, mentre si sono probabilmente sottovalutate le conseguenze di provvedimenti “erga omnes” come la liberalizzazione dei voucher fino a 10mila euro l’anno. È un atto che potrebbe stravolgere l’assetto contrattuale del mondo dei servizi, popolato prevalentemente da donne, e portare alla progressiva sostituzione dei vecchi contratti con ferie, malattie e congedi di maternità pagati con le nuove retribuzioni a chiamata senza alcuna indennità.

Vedremo. La ministra delle Pari Opportunità e Famiglia Eugenia Roccella è raccontata, anche da molte collaboratrici delle Contemporanee, come una donna di formazione femminista, ben attrezzata alle battaglie politiche. E sarebbe davvero un paradosso se il governo della prima premier donna segnasse passi indietro per le donne: Giorgia Meloni ne pagherebbe lo scotto per prima, e lo sa benissimo.

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