le opinioni

Camera senza vista su diritti e libertà

Una legislatura indubitabilmente storica ha preso le mosse e quest’affermazione non è legittimata solamente dall’incarico che il Presidente Mattarella ha affidato a Giorgia Meloni, quale prima Presidente del Consiglio italiana. Le discussioni sul carattere storico dell’investitura di una prima esponente politica alla guida di Palazzo Chigi e sulle contraddizioni che questo evento può o meno suggerire, alla luce del fatto che la prima Premier tutto è fuorché femminista, sono già state molte, anche qui, durante le settimane successive al voto del 25 settembre.

La storicità della XIX legislatura è già all’origine della stessa, per il fatto che questa è stata la prima ad aprirsi con una forza egemone, nella maggioranza politica espressa dalle urne, che si richiama direttamente al MSI, partito politico di ispirazione neofascista che ha attraversato la storia repubblicana, fino al gennaio del 1995, guadagnando rappresentanza parlamentare a seguito di ogni elezione politica cui ha preso parte, con risultati oscillanti tra il 2% all’esordio del 1948 e il 9% alle politiche del 1972. L’elezione alla seconda carica dello Stato di una personalità come Ignazio Benito Maria La Russa, come primo importante impulso politico di legislatura, affianca un carattere simbolico a questo dato di storicità. La matrice ideologica di cui La Russa è una vera icona, se accuratamente studiata, disvela una continuità di pensiero patriarcale e di modello socio-familiare iper-tradizionalista, tra i tratti più esposti della propria identità, anche perché per molti anni considerati meno sconvenienti rispetto ad altre eredità del Ventennio.

Le prime e sparute uscite pubbliche della leader della destra dopo il voto avevano fatto registrare oscillazioni tra rassicurazioni istituzionali e ribadite adesioni ad una sorta di solidarietà internazionale post-fascista (si veda la ribadita e accalorata condivisione della causa iberica di Vox). La mia convinzione però è sempre stata la stessa: nelle parole di Giorgia Meloni alla vigilia delle elezioni, che esaltavano l’aspettativa della sua vittoria come un elemento di riscatto per una storia politica che si è descritta, per moltissimi anni, come marginalizzata, si poteva già trovare una traccia del carattere ideologico che le scelte della destra italiana avrebbero marcato.

Le scelte compiute sulle presidenze delle Camere, purtroppo, hanno fornito conferme ed hanno smentito le prime diffuse aspettative confidenti nel rispetto che la nuova maggioranza avrebbe potuto riservare a ciò che in qualche modo possa definirsi “già acquisito”, nella consapevolezza comune che questa non potrà certo essere una legislatura di avanzamento. Il tempo di un certo wishful thinking è scaduto infatti con la scelta di Lorenzo Fontana come Presidente della Camera e col suo discorso ultra-confessionale. D’altronde quella parte dell’astensionismo che si deve ad una generica sfiducia nella politica finisce per accentuare il rilievo numerico e quindi politico di movimenti, anche molto minoritari nella loro radicalità, come nel caso di alcune sigle cosiddette pro-life, ma assai compatti e motivati, al punto da non faticare ad eleggere diffusamente propri rappresentanti nelle istituzioni.

Vi sono le esperienze nelle istituzioni regionali a fornire dei precedenti: i casi di Marche, Umbria, Piemonte sono assurti alla cronaca in modi che non necessitano qui di essere più che richiamati. Occorre tenere conto del processo di ridefinizione degli equilibri in quello che un tempo fu il centrodestra berlusconiano è passato attraverso diverse elezioni regionali, nelle quali la destra più confessionale e reazionaria in ordine ai diritti individuali ha segnato ripetuti punti a scapito della componente, spesso sopravvalutata in termini di incidenza, di cultura liberale e moderata. Non può quindi sorprendere che oggi Meloni punti a marginalizzare Forza Italia, perché il personale politica berlusconiano è lontanissimo dal modello identitario che la Presidente di Fratelli d’Italia vuole imprimere alla destra italiana. Se l’ex partito di plastica sarà tigre di carta o bestia nera della coalizione che ha vinto le elezioni sarà il tempo a dirlo.

Certo, anche le prime prove di compattezza dell’opposizione sono andate piuttosto male. Una mobilitazione diffusa, per favorire un’opposizione sociale e civile incisiva, occorrerà.

LA PAROLA A VOI

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