Lo scorso 12 giugno 975 comuni sono andati al voto, tra cui 22 importanti capoluoghi di provincia e 4 capoluoghi di regione Genova, Palermo, Catanzaro e L’Aquila. Ma non voglio fare un’analisi del voto partitica: pagine a pagine online e cartacee sono state scritte. Ma c’è un dato preoccupante che è stato ampiamente sottovalutato: a dieci anni dall’introduzione delle quote di genere, in Italia il riequilibrio di genere in politica sembra ancora lontano.
Nei 26 comuni capoluogo di provincia, su 60 appena 15 sono state le donne candidate: il rapporto è 1 donna ogni 4 uomini. Di queste solo 9 sono diventate Prime Cittadine. Nessuna di loro è stata eletta al primo turno. Per comprendere meglio però le dinamiche di queste elezioni, analizziamo brevemente la geografia del voto in ottica di genere.
Patrizia Manassero a Cuneo è stata da subito salutata come prima sindaca del comune piemontese. In realtà è stata anche l’unica donna eletta nelle tre città andate al voto Cuneo, Asti e Alessandria: lo scorso mandato erano tutte amministrate solo da sindaci. Al contrario in Lombardia tra le tre città al voto, solo Lodi era amministrata da Sara Casanova. Dopo le ultime elezioni, Lodi invece è passata a Andrea Furegatto mentre Como e Monza hanno eletto Alessandro Rapinese e Paolo Pillotto.
Leggermente diverse le dinamiche in Emilia Romagna e Lazio, le altre due regioni che hanno eletto sindache. A Piacenza passaggio di consegne al femminile tra Patrizia Barbieri a Katia Tarasconi. Cambio tutto al femminile anche a Viterbo dove da Antonella Scolamiero si passa a Chiara Frontini. Interessante notare come entrambe siano state elette al secondo turno. I primi 13 comuni italiani hanno eletto il 12 giugno solo sindaci.
Cambio della guardia maschile in tutto il resto dei capoluoghi di provincia e regione. Il Friuli Venezia Giulia, unico comune capoluogo di provincia al voto, Gorizia riconferma Rodolfo Ziberna proprio come in Abruzzo a L’Aquila con Giovanni Brondi e in Liguria con le città di Genova e La Spezia con Marco Bucci e Pierluigi Peracchini. Negli altri due comuni laziali al voto, Frosinone e Rieti, si passa rispettivamente da Nicola Ottaviani e Antonio Cicchetti a Riccardo Mastrangeli e Daniele Sinibaldi. Stesso cambio maschile anche a Parma dove a Federico Pizzarotti succede Michele Guerra e nel Veneto dove a Belluno, Padova e Verona vengono eletti sindaci Oscar De Pellegrin, Sergio Giordani e Damiano Tommasi.
Un passaggio di consegne tutto al maschile anche per la regione Toscana dove a Lucca si passa da Alessandro Tambellini a Mario Pardini mentre a Pistoia viene confermato Alessandro Tommasi. Inespugnabile anche il Sud Italia. In Puglia, Barletta e Taranto passano da Francesco Alecci e Vincenzo Cardellicchio a Cosimo Cannito e Rinaldo Melucci. Stessa situazione nei capoluoghi di provincia e regione della Calabria, Catanzaro, con Nicola Fiorita che succede a Sergio Abramo, e in quello della Sicilia, Palermo, con Leoluca Orlando che lascia il timone a Roberto Lagalla. La dinamica si ripete anche a Messina con il neoeletto Federico Basile e in Sardegna dove la cittadinanza elegge Massimiliano Sanna.
Se in maniera più specifica andiamo a vedere la qualità delle competizioni elettorali potremo scoprire, da una lettura superficiale, che in ben 8 comuni non si è presentata alcuna candidata. Si tratta di Alessandria, Parma, Lucca, Frosinone, Rieti, Taranto, Messina e Oristano. Viceversa, in queste amministrative non c’è traccia in tutta Italia di un comune andato al voto con solo candidate.
Quest’analisi non dovrebbe sorprenderci più di tanto, purtroppo: anche lo scorso anno la situazione non era stata poi tanto diversa. Le città più grandi andate al volo nel 2021 come Roma, Milano e Bologna hanno eletto un sindaco. Molte di loro hanno poi nominato una vicesindaca, ma il “contentino partitico” serve solo a confermarci una triste realtà: il soffitto di cristallo nelle istituzioni e nella politica italiana è ancora tutto da sfondare.
Ma come evitare che possibili politiche in gamba e preparate restino fuori dalle istituzioni e dalle posizioni di potere? Un cambio culturale e sociale è essenziale per ottenere un effetto durevole ma i primi effetti li potremo notare tra qualche decennio. Fortunatamente anche in Italia sono state introdotto degli strumenti temporanei per provare a colmare questa disparità. Si tratta delle quote di genere. Un’interessante analisi di Carlo Canepa su Pagella Politica ha dimostrato come sia le quote che la misura della doppia preferenza di genere, utilizzate anche in queste ultime amministrative, abbiano effettivamente avuto un impatto positivo sulla rappresentanza femminile in politica.
E possiamo vederlo, in misura minore, anche nella recente tornata elettorale. Nelle ultime elezioni del 2017 i comuni andati al voto questo giugno avevano avuto molte meno candidate. Città come Cuneo, L’Aquila, Piacenza, Viterbo, hanno visto incrementare il numero di donne che hanno scelto di candidarsi. In particolare, a L’Aquila, Piacenza e Viterbo si è avuta una parità numerica quasi perfetta. Nelle elezioni del 2017 gli stessi comuni non avevano raggiunto il riequilibrio numerico: nel capoluogo abruzzese su 7 solo 2 donne, a Piacenza su 6 solo 2 candidate mentre a Viterbo solo 3 donne su 8 candidati. Molte altre città hanno visto aumentare il numero delle loro candidate anche se in pochissime poi sono state elette o sono riuscite ad arrivare, dove previsto, al ballottaggio.
Abbiamo analizzato la questione solo da un punto di vista numerico, ma è chiaro che qualitativamente la situazione mostra crepe ben più ampie. Le partite elettorali considerate più importanti come Catanzaro, L’Aquila, Genova, Palermo, Verona, Parma, Padova, Messina e Gorizia sono state vinte da uomini.
Tirando le somme, possiamo dire che c’è ancora molta strada da fare. Ma l’adozione di specifici strumenti come le quote di genere insieme a un profondo cambiamento socio-culturale saranno decisivi nei prossimi decenni per ottenere una democrazia davvero rappresentativa.