le opinioni

Figli dell’ultima generazione

La cosa che più preferisco è andare in giro per centri culturali, eventi, festival e club a parlare con le persone di cosa sta succedendo. Ora. In Italia. Sono luoghi in cui si mescolano idee e vibrazioni e in cui si trovano sempre ottimi stimoli di conversazione e di riflessione. Ultimamente si è discusso molto di natalità e, in particolare, di denatalità ed è proprio questo il tema che nell’ultimo periodo ho indagato.

In Italia, dal 2008, si assiste ad un’importante crisi demografica che anno dopo anno non fa che peggiorare. Nel 2022 si è registrato un numero di nascite pari a 393mila e, con grandissima probabilità, il 2023 si accaparrerà il nuovo record negativo.

La questione è nuovamente esplosa a seguito delle dichiarazioni del ministro Giorgetti al Meeting di Rimini il 21 agosto 2023. Il ministro dell’economia e delle finanze ha infatti allarmato tutti dicendo che, visti i gravi numeri che si registrano in tema di natalità, ora come ora, è impensabile una riforma previdenziale. Tutti si sono preoccupati e le dita sono state puntate contro i giovani, che non hanno più voglia di impegnarsi mettendo al mondo dei bambini, ma soprattutto -indovinate un po’- contro le donne, considerate estremamente egoiste nel non voler affrontare una gravidanza.

Rispolveriamo qualche dato: in Italia il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni che non hanno prole è del 74%, percentuale che cala di 20 punti, attestandosi al 54%, se si analizza la situazione di quelle donne che lavorano e che hanno un figlio di meno di 6 anni. Il dato diventa drammatico guardando a quelle donne con uno o più figli: solo il 35% di queste lavora. Concentriamoci ora sullo squilibrio dei congedi: le madri hanno un congedo obbligatorio di cinque mesi, al contrario dei padri che devono (/possono) assentarsi dal lavoro per soli dieci giorni. Immaginatevi voi cosa significa stare lontane dalla propria occupazione per cinque mesi -durante i quali si passa la maggior parte del tempo da sole con dei bebè- per poi rientrarvi come se nulla fosse.

Ancora, il problema degli asili nidi, la cui disponibilità sul territorio è del 27%. Viste le importanti liste d’attesa, molti genitori sono costretti ad iscrivere i propri figli ben prima della loro nascita e, la maggior parte delle volte, si tratta di asili nidi privati che non tutti possono permettersi senza dover fare grandi sacrifici (o senza pensare che, forse, a quel punto, è meglio lavorare part-time o, ancora, rimanere a casa con il pargolo). Prima problematica cui ci si va ad imbattersi è, dunque, il lavoro. In sociologia si parla del c.d. “motherhood employment penality” o di “chidhood penality”, ossia di quella penalizzazione lavorativa e professionale che colpisce le donne nel momento in cui diventano madri. Come diceva benissimo Michela Murgia, viviamo in una società in cui ci si aspetta che le donne lavorino come se non facessero figli e che facessero figli come se non lavorassero.

Quando guardo certi grafici e studio determinati dati mi impressiono molto e mi domando se, nel caso in cui volessi avere dei figli, sarò veramente costretta a dover fare la scelta di sospendere una parte importante della mia vita per potermi dedicare ad un’altra altrettanto importante e viceversa.

Ho quindi cominciato a chiedermi e a chiedere alle persone introno a me “Perché non si fanno più figli?”. L’ho chiesto a uomini e donne dai 27 ai 60 anni di età, colleghi, amici, familiari ed estranei che vivono in Italia o in altri paesi europei.

Una persona mi ha risposto -inserendosi nell’onda che ha seguito le dichiarazioni di Giorgetti- che noi, persone in età fertile, non siamo disposti a fare gli stessi sacrifici che le generazioni prima di noi e quelle prima ancora hanno fatto. A tal proposito mi ha raccontato di un suo conoscente, un uomo di più di 90 anni, che quand’era giovane era impiegato in un lavoro piuttosto usurante, a molti chilometri da casa, ma ben pagato. Nonostante la distanza e la pesantezza dell’impiego, ha continuato a lavorare lì fino alla pensione perché a casa aveva una famiglia numerosa.

Alcune persone intervistate non hanno nessuna intenzione di mettere al mondo un figlio viste le situazioni ambientali drammatiche cui stiamo assistendo quotidianamente. Una ragazza ha evidenziato che molti giovani non fanno figli perché siamo i figli dell’ultima generazione, molti dei quali cresciuti in situazioni familiari un po’ disagianti, senza una figura di riferimento forte. «Io penso di avere un botto di istinto materno e sono anche molto curiosa di vedere in che modo il mio corpo così come la mia persona possano cambiare nel momento in cui dentro di me c’è un essere vivente; ma visti i sacrifici che devi fare oggi per poter stare bene, non posso proprio pensare di essere in grado di gestire un adolescente».

Mi è stato detto che sono necessari maggiori servizi sociali, un maggior numero di congedi («Se il bambino si ammala come faccio?»), un welfare più forte; c’è bisogno di un’assistenza per pagare gli affitti e di aiuti per aprire un mutuo. «Se la nostra generazione continuerà a guadagnare quanto guadagna e se i costi sono quelli che sono, in Italia non si faranno più figli». I soldi sono stati, quasi per tutti, la risposta alla mia domanda e, a tal proposito, ricordiamoci che nel 2022, la Retribuzione Annua Lorda- RAL media di un uomo italiano si attestava intorno ai 31.286 euro, contro una RAL di 28.565 euro per le donne.

In Danimarca si fanno figli presto perché, visti gli aiuti statali, ci si può rendere autonomi già quasi a 18 anni; si va a lavorare prima, con più facilità e con stipendi molto più alti. Si può andare a convivere molto presto e, quindi, viene da sé che i figli nascono prima e più numerosi. In Francia, al di là dell’assistente di maternità, ci sono degli incentivi molto importanti per chi ha figli che sono aiuti economici, ma anche in pannolini, latte in polvere, omogenizzati.

In effetti, quando costa avere un figlio? A questa domanda ha già risposto in modo molto puntuale l’economista Azzurra Rinaldi la quale, in un articolo per la Svolta, ha riportato che, secondo le stime di Banca d’Italia e dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori, il costo annuale di un neonato si aggira tra gli €8.000 e i €9.750, costo che aumenta via via che il bambino cresce, fino ad arrivare a circa €75.000 allo scoccare della maggior età. Come se ciò non bastasse, ultimamente ha fatto capolino anche l’inflazione, alzando ulteriormente i prezzi dell’11,3% per quanto riguarda gli alimenti per neonati, del 13,6% per i pannolini, del 30,4% dei passeggini.

Ad oggi, i genitori possono ricevere l’Assegno Unico e Universale, un sussidio statale cui hanno diritto sia gli occupati che i disoccupati a partire dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni del figlio. Tale sussidio varia da un minimo di 50€ ad un massimo di 175€ mensili. Sono previste delle maggiorazioni in caso di figli con disabilità, di nuclei numerosi, di madri con meno di 21 anni, di entrambi i genitori impegnati in un’occupazione e di ISEE inferiore a 25mila euro. Al netto di ciò, ricordiamoci, però, che un bambino può costare in media 654€ al mese. Dalle ultime notizie pare che nella nuova legge di bilancio si vogliano prevedere degli aiuti alle famiglie con tre figli, dei bonus per chi fa un secondo bebè e sgravi per le madri che lavorano. Immagino, dunque, che ad oggi non ci resti che aspettare.

Tornando alle risposte che ho ricevuto, diverse persone mi hanno detto che la popolazione a livello mondiale è già troppa e che quindi non ha senso continuare a moltiplicarsi. A tal proposito ripenso all’affermazione di Giorgetti e cosa di quella dichiarazione ha veramente preoccupato: la riforma previdenziale. E allora, se da un lato leggiamo di denatalità e dall’altro di invasione di migranti, forse la cosa più semplice sarebbe quella di rendere più fluido l’inserimento delle persone straniere nel nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda la normativa relativa al permesso di soggiorno e allo stato di occupazione. Infatti, non è una novità guardare alle migrazioni in termini egoistici e prettamente economici e riconoscere che, in un periodo storico in cui dilaga l’incertezza, non si prevedono aiuti per le fasce che oggi si stanno lanciando nel mondo degli adulti e di fatto è davvero difficile pensare di mettere su famiglia, una normativa strutturata e puntuale sulle migrazioni economiche potrebbe da un lato fare del bene, dall’altro colmare quei buchi -ormai enormi- nei sistemi di welfare.

LA PAROLA A VOI

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CONTRIBUTOR

  • Francesca Valente

    Francesca Valente, triestina, femminista, appassionata di diritto del lavoro. Si laurea in giurisprudenza con una tesi interdisciplinare sullo sfruttamento del lavoro delle donne migranti. Durante il percorso accademico svolge un tirocinio curriculare prima nell'ufficio legale di I.C.S., Ufficio Rifugiati Onlus, poi nel centro di prima accoglienza Casa Malala. Prende parte al progetto Erasmus, trascorrendo sei mesi a Lione, dove frequenta corsi in Filosofia e Sociologia delle disuguaglianze e delle discriminazioni presso l'Institut d'études du travail de Lyon. Dottoranda con Adapt in Apprendimento ed Innovazione nei Contesti Sociali e di Lavoro presso l'Università di Siena, attualmente ricercatrice presso la FAI CISL. 

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