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L’Iran e l’anniversario. Un esercizio di lettura

Secondo quanto riportato da Mahmood Amiry Moghaddam, direttore di Iran Human Rights – سازمان حقوق بشر ایران, in 12 mesi sono state uccise almeno 537 persone, centinaia di manifestati sono rimasti feriti. Tra le persone uccise, 48 donne e 68 bambini. Circa la metà delle persone uccise appartengono alle minoranze etniche Baluchi e Curda. Le condanne a morte per impiccagione a seguito dei processi per “reato contro Dio” sono 7. Mentre gli arresti di giovani manifestanti sono stati almeno 30mila.

Il clima in Iran è teso, poiché le proteste non si sono mai fermate e in occasione dell’anniversario il governo si aspetta di dover affrontare nuove forme di opposizione e protesta. Secondo quando riportato da Amnesty International, le autorità iraniane stanno intensificando la campagna di minacce e intimidazioni contro le famiglie delle vittime, con l’obiettivo di rafforzare il clima di silenzio e d’impunità. Amnesty menziona arresti arbitrari e detenzioni di parenti delle vittime, crudeli limitazioni ai raduni dove queste sono state sepolte, danneggiamenti e distruzioni di lapidi, insistendo sul fatto che la sofferenza mentale inflitta alle famiglie delle vittime costituisca già un trattamento assimilabile alla tortura ed altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

L’antropologa e giornalista Sara Hejazi nel suo libro “Iran, donne e rivolte” pubblicato nel 2023 da Scholé/Morcelliana, puntualizza come vi sia una stretta correlazione fra accesso di massa all’istruzione e la consapevolezza che ha portato alle rivolte, analizzando la natura cosmopolita e polifonica della narrazione dell’Islam contemporaneo. Le voci del governo, dei dissidenti, della diaspora sono discordanti, ma raccontano ciascuna un pezzo di verità, uno scorcio su un paese in cui la complessità e la contraddizione hanno raggiunto negli anni livelli ragguardevoli. Ricordiamo tutti a tal proposito l’autobiografia comics novel di Marjan Satrapi, Persepolis, in cui molte di queste contraddizioni venivano provocatoriamente messe in luce.

Di fatto, la resistenza delle donne iraniane alle leggi del governo affonda le radici all’alba della rivoluzione islamica, contro l’intenzione di imporre il velo (8 marzo 1979), ma trova nutrimento nell’abolizione dell’analfabetismo voluta proprio da Khomeini, che voleva una nazione “indipendente e autosufficiente”, alfabetizzata alla lingua comune nazionale: il farsi. Si inserisce qui un altro tema importante, legato alle minoranze presenti nel paese. Col programma rivoluzionario islamico di alfabetizzazione, il farsi veniva inserito come lingua moderna a discapito del curdo, dell’azero, dell’armeno, del turcomanno, del loro, del baluci, per menzionare solo alcune delle lingue minoritarie ancora oggi parlate in Iran.

Mentre noi ci concentravamo a spot nell’ultimo anno sull’apartheid di genere in Iran, metà dei manifestanti uccisi apparteneva a gruppi minoritari (Baluchi e Curdi). Emerge dunque, a fianco della questione di genere, una questione etnica alla base dei disordini sociali.

La conflittualità latente nella società islamica ha visto più volte il popolo iraniano, in particolare i giovani, scendere in piazza a manifestare. Nel 1999 all’Università di Teheran per la libertà di espressione; nel 2009 contro la vittoria di Ahmadinejad; nel 2019 per le sanzioni e la crisi economica; nel 2020 per l’abbattimento accidentale del volo di linea 752; nel 2021 per tensioni politiche ed economiche che hanno necessariamente costituito il fertile sostrato alle rivolte scatenatesi nel 2022. Ogni volta si diceva “non si torna più indietro” e in un certo senso è stato davvero così.

L’Iran di oggi è infatti una repubblica islamica intrisa di imposizioni e divieti che spesso sfociano in una violenta repressione contro una popolazione che è prevalentemente ben istruita e colta, in cui le donne hanno continuato sempre a portare avanti un loro percorso di emancipazione e una sottile resistenza esercitata sapientemente in pratiche quotidiane significative, come già sottolineavano Farian Sabahi, docente universitaria e giornalista italo-iraniana, nel suo libro “Noi donne di Tehran”, pubblicato nel 2013 e ancor prima Azadeh Moaveni in “Lipstick Jihad” (2005).

A un anno quindi dallo scoppio delle rivolte in seguito all’uccisione di Mahsa Amini, a parte l’iniziale interesse e forte posizionamento dei movimenti della diaspora iraniana e del pubblico internazionale, cosa abbiamo capito della complessità della condizione dei donne e minoranze etniche in Iran? Quali sono le tensioni sociali celate sotto il velo?

Come suggeriva nel 2022 Shirin Zakeri, Ricercatrice e docente presso l’Università di Roma “La Sapienza”,il motivo delle proteste in Iran sotto lo slogan di «Donna, Vita, Libertà» ha un significato molto più profondo e rappresenta un appello per i diritti fondamentali e la giustizia in un Paese che è consapevolmente ricco non solo di risorse naturali ma anche di cultura, tradizione e storia, eppure in assoluta sofferenza totale da decenni.

Il fattore generazionale si sta rivelando un fattore chiave nella sempre maggior aderenza dei movimenti rivoluzionari, non contro il velo o la religione islamica in sé, ma contro il fondamentalismo religioso strumentalizzato a fini di potere politico: contro la discriminazione, delle donne e dei gruppi minoritari. Le divisioni interne, specie nelle diaspore, hanno fatto perdere alla protesta lo slancio iniziale. Le manifestazioni di piazza si sono diradate, mentre singoli individui manifestano ancora oggi il loro dissenso con una tenace e pervasiva disobbedienza civile, peraltro già iniziata nell’estate del 2021. Per alcune fette della popolazione la disobbedienza civile è finalizzata anche a “Cambiare il sistema senza stravolgere il nostro credo di musulmani”, come suggerisce Shirin Ebadi, prima iraniana e la prima musulmana a ricevere il Nobel per la pace.

Forse il commento più significativo a un anno dall’inizio delle proteste va allora lasciato alle parole di Luciana Borsatti (https://www.professionereporter.eu/2023/08/iran-attacchi-ai-giornalisti-che-cercano-di-capire-e-il-movimento-e-scomparso-dai-media/): “Se nei mesi delle proteste le nostre cronache avessero approfondito di più il contesto socio-politico del movimento, i suoi limiti e i suoi punti di forza, la molteplicità delle rivendicazioni – che andavano ben oltre la questione dell’hijab, investendo le istanze di vastissimi settori sociali – e anche i nuovi volti che il dissenso stava assumendo, forse qualche articolo in più si sarebbe scritto anche in questi mesi di relativa calma apparente, ma di grande cambiamento nel profondo tuttora in corso della società iraniana.”

LA PAROLA A VOI

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  • Francesca Grisot

    Francesca Grisot ha conseguito PhD in Lingue Culture e Società, Subject Expert presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati di Ca’ Foscari, Presidente della OdV A2030 e coordinatrice della Commissione Migrazioni di ANPIA (Associazione Professionale di Antropologia), è progettista e formatrice per le politiche inclusive. Saggista e divulgatrice, ha tra le ultime pubblicazioni “Il viaggio di Zaher” con la Meridiana e “L’importanza della voce” sulla rivista scientifica Antropologia Pubblica.

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