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Quando muore un nonno

L’Italia si basa su una forma di welfare familistico, con cui si intende quell’assistenza fondamentale che viene fornita dalla famiglia (e in particolare dai nonni) in ambito di cura e di sostegno nella conciliazione dei tempi vita-lavoro. In breve, la famiglia sostituisce quel welfare che dovrebbe essere fornito dallo Stato.

Nel 2011 l’ISTAT ha pubblicato l’Indagine multiscopo sulle famiglie: aspetti della vita quotidiana in cui è stato incluso anche un questionario per bambini e ragazzi con l’obiettivo di indagare su quali siano gli adulti che si prendono cura di loro. Nel 54,6% dei casi quando i bambini da 0 a 13 anni non sono a scuola o con i genitori sono accuditi da un nonno non convivente, il 46% dei bambini che non frequenta l’asilo nido rimane in compagnia dei nonni così come un terzo dei bambini che non va alla scuola materna. I nonni sono i caregiver più importanti, secondi solo alle mamme: oltre ad una mamma su due affida regolarmente i propri figli ai nonni, i quali rappresentano per moltissime famiglie italiane un pilastro del welfare, fondamentale soprattutto quando i genitori lavorano.

Basti pensare che durante le vacanze estive i nonni sono la soluzione migliore -se non addirittura l’unica- nella cura dei bambini. Infatti, visto il grosso problema connesso agli asili pubblici, quasi una mamma su 3 (rapporto Istat 2014) rinuncia a mandare i figli all’asilo nido perché la retta di una struttura privata arriva in media a 4.500€ l’anno, senza contare che non tutti possono permettersi una baby-sitter (per cui in Italia si spendono circa 2,4 miliardi). Un articolo del Sole 24 Ore dimostra che, nel 2016, grazie al lavoro e all’assistenza dei nonni, le famiglie italiane potevano risparmiare 8 miliardi di euro l’anno. Visto il costo e il numero ridotto di servizi di assistenza formali in Italia è cruciale un sostegno intergenerazionale: se non ci fossero i nonni la conciliazione vita-lavoro per i padri e le madri sarebbe ancora più complessa di quanto già non sia.

Il ruolo del nonno e della nonna, però, è fondamentale anche in riferimento ad un altro aspetto. Arpino e Pronzato, infatti, hanno provato che l’assistenza informale all’infanzia ha degli effetti molto positivi sull’occupazione femminile. Affinché una donna possa rientrare al lavoro dopo un periodo più o meno lungo di maternità le alternative sono due: o può permettersi un asilo nido privato oppure può fare affidamento solo sui genitori suoi o del* partner. Com’è noto l’abbandono del posto di lavoro dopo una gravidanza -soprattutto dopo la prima- è diffusissimo. Da una ricerca condotta dall’Università Bocconi è emerso che la presenza e l’aiuto dei nonni aumentano del 39% la probabilità delle donne di entrare, rientrare e mantenere il posto di lavoro. L’effetto dell’assistenza intergenerazionale dei nonni ai bambini sul lavoro femminile è positivo, statisticamente significativo ed economicamente rilevante ed è ancora più evidente nelle madri meno istruite, con figli piccoli e residenti in Italia settentrionale e centrale. Da alcuni dati ISTAT risulta che dal 1998 al 2009, l’assistenza informale è aumentata del 6%; tale incremento è ancora più evidente in quelle famiglie in cui la mamma è impegnata da un punto di vista professionale.

Nel periodo pandemico -in cui gli anziani erano tra i soggetti più fragili- la cura informale da parte dei nonni è diventato un tema. Interessante è stata la previsione della circolare n.73 dell’INPS in cui si riconosceva che tra i possibili destinatari del c.d. bonus baby-sitter c’erano anche i nonni (un paradosso da un punto di vista sanitario, ma un grande passo avanti da un punto di vista di welfare, riconoscendo finalmente il lavoro di cura). Al di là di questa previsione emergenziale, però, si è persa un’importante occasione per affrontare la questione della conciliazione vita-lavoro, così come non sono stati presi in considerazione i bisogni di cura, educativi e di socialità dei più piccoli, bisogni i quali, in assenza dei nonni, sono stati riversati interamente sui genitori.

In Italia, quindi, i nonni sostituiscono o sono complementari ad un’offerta pubblica per lo più assente o quantomeno classista; al contrario, in paesi in cui il ricorso ai nonni è limitato, la cura formale è abbondante, il welfare sostenuto e il lavoro femminile agevolato e incoraggiato. Questa situazione può diventare anche fonte di discriminazioni indirette perché sono agevolate le famiglie in cui è possibile un sostegno intergenerazionale e sono penalizzate quelle che non possono contare sull’aiuto dei più anziani (senza contare che l’età pensionabile è sempre più in là nel tempo e che, quindi, i nonni stessi potrebbero essere ancora impegnati nel mondo del lavoro).

I nonni sono un aiuto fondamentale nella crescita dei figli, soprattutto in un Paese come l’Italia in cui ci si lamenta dell’inverno demografico, ma dove non si investe nei giovani, nei servizi per l’infanzia o nei congedi di paternità. I nonni rappresentano la cosa più vicina ai genitori, agli insegnanti e agli amici, pur essendo la cosa più distante da tutte queste figure. Quando muore un nonno, si perde una persona che ha contribuito e ha permesso la crescita sia dei propri nipoti che dei propri figli, partecipando alla costruzione di un ponte tra passato e futuro. Quindi, ciao nonno e grazie.

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CONTRIBUTOR

  • Francesca Valente, triestina, femminista, appassionata di diritto del lavoro. Si laurea in giurisprudenza con una tesi interdisciplinare sullo sfruttamento del lavoro delle donne migranti. Durante il percorso accademico svolge un tirocinio curriculare prima nell'ufficio legale di I.C.S., Ufficio Rifugiati Onlus, poi nel centro di prima accoglienza Casa Malala. Prende parte al progetto Erasmus, trascorrendo sei mesi a Lione, dove frequenta corsi in Filosofia e Sociologia delle disuguaglianze e delle discriminazioni presso l'Institut d'études du travail de Lyon. Dottoranda con Adapt in Apprendimento ed Innovazione nei Contesti Sociali e di Lavoro presso l'Università di Siena, attualmente ricercatrice presso la FAI CISL. 

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