Nell’ormai lontano 2009 avvenne un fenomeno analogo all’attuale – se escludiamo il peso non indifferente dei social nel risveglio della coscienza collettiva, ovviamente. Parliamo del massivo interessamento da parte dei mass media riguardo la violenza sessuale maschile nei confronti delle donne; di come essa avvenga sistematicamente, non in maniera occasionale; ma soprattutto, di come la mentalità comune e l’elasticità giuridica garantissero (e continuano tuttora a garantire purtroppo) un trattamento fin troppo indulgente nei confronti degli stupratori e dei loro complici, quando essi si aggiungono.
Chi ricorda il periodo non avrà dimenticato lo stupro di Capodanno Amore09, perpetrato all’interno un bagno chimico: la ragazza subì in seguito un prolasso alla vagina, lui venne inizialmente scarcerato e poi riportato in carcere grazie al decreto antistupro appositamente emanato; o quello del parco della Caffarella, sempre a Roma, nei confronti di una quattordicenne da parte di due soggetti (uno dei quali già recidivo); o quello di Rovato, dove una venticinquenne venne stuprata per 5 interminabili ore mentre il fidanzato ferito fu costretto ad assistere impotente.
Casi orribili in cui le survivor hanno cercato di aggrapparsi alla loro vita, ma che sono state impietosamente abbandonate al giudizio parziale della gente, alla vittimizzazione secondaria di organi giuridici e istituzionali, e in particolare all’affronto di vedere i loro violentatori usufruire degli arresti domiciliari neanche si trattasse di soggetti perseguiti per reati minori.
Altra epoca, altre mancanze, un point of view sicuramente differente e meno strumenti rispetto al momento attuale.
Eppure, ripensare alla paura dilagata in quel periodo non può non far pensare a quanto gli sforzi, ove ci sono stati, non siano risultati sufficienti al miglioramento della società. Avvenne un risveglio allora: da qualsiasi parte ti girassi, qualsiasi cosa stessi facendo, poteva sbucare uno stupratore e aggredirti. Un italiano incensurato, un padre di famiglia, un amico di scuola, un gran lavoratore, un bianco.
Eh sì, perché silentemente – ma mica tanto – qualcuno avrà sperato in una pseudobiologica tendenza a violentare tipica degli stranieri. Non a caso, la stampa non perse l’occasione per evidenziare le nazionalità di alcuni di loro, come se la provenienza fosse un modo per ripulire la coscienza nazionale nostrana dai propri errori: stupratore è lo straniero incivile, quello che vede le donne come oggetto, quello non bianco, lui, mica noi italiani brava gente! Se poi tra gli stessi italiani brava gente circolano anche forme più subdole e invisibili di violenza – non solo sessuale -, senza magari cinematografici immaginari pieni di sangue ed ematomi, allora lì è un altro discorso, vero?
Ma torniamo al presente.
Lo stupro di Palermo in cui sono stati coinvolti a luglio una diciannovenne e sette coetanei (tra cui un minorenne al momento dei fatti, poi divenuto maggiorenne anche lui) ha riacceso l’indignazione seguita al periodico senso di rassegnazione dovuto all’assistere a una situazione che invece di migliorare peggiora. Sì perché, benché i dati testimonino una lenta ma progressiva riduzione dei casi di crimini violenti, dall’altra parte vediamo restare invariato, se non salire, il numero della violenza di genere. Come si potrebbe spiegare tale fenomeno senza tenere conto di un fatto oggettivo? Cioè che la violenza di genere ha una matrice più profonda del comune desiderio di fare del male al prossimo. Questa radice si chiama Patriarcato.
Il sistema patriarcale prolifera grazie all’assenza di politiche volte alla prevenzione, alla promozione di un’educazione sessuo-affettiva obbligatoria e onnicomprensiva, alla messa in discussione del concetto di
mascolinità (e del suo ruolo artificialmente deformato) e dei valori sociali attribuiti a quei comportamenti tossici responsabili dello stupro di Palermo prima e di quello di Caivano a due tredicenni nello stesso mese poi – per non citare la lista infinita di tutti gli altri.
Gli uomini non hanno e molti di loro nemmeno vogliono comprendere come la cultura dello stupro sia intrinsecabilmente intrecciata alla loro educazione di genere. Un’educazione rafforzata da modelli malati e leggi di comportamento non scritte dove l’uomo non deve chiedere mai, un No è comunque un Sì, se ti rifiuti allora ti prendo lo stesso perché non si tratta di desiderio ma di prevaricazione e potere. Di più, se c’è con me il branco, allora tu diventi oggetto da annientare con il sostegno competitivo del gruppo. Infine ci sono i social, che se usati per scopi ostili possono prolungare l’agonia senza speranza di oblio.
È (ancora) di questi giorni la notizia di una gravissima condivisione non consensuale di materiale intimo a opera di adolescenti. Una ragazza, svenuta a causa dell’alcol, invece di essere aiutata è stata ripresa nelle parti intime dai suoi compagni e le immagini sono state condivise sui social così come fatto da uno degli stupratori di Palermo. Questo cosa ci rivela? Vi è la percezione della gravità di simili atti? Secondo chi di occupa di violenza online – a differenza di quanto ci si aspetterebbe, vista l’età di molti soggetti abusanti – la consapevolezza ci sarebbe eccome. E proprio per questo si condivide senza consenso: perché si sa molto bene il peso granitico della CNC una volta diffusa, perché la persona viene intesa come preda e perché la condivisione rappresenta una negazione del proprio diritto ad autodeterminarsi.
Non servono castrazioni, pene più severe o ergastoli come deterrenti, e di sicuro tali pseudosoluzioni nostalgiche della pena del taglione non scoraggeranno gli stupratori dal violentare altre persone socializzate donne, tantomeno verrà limitato all’osso il rischio di recidiva. La violenza di genere non sparisce con la logica punitiva, anzi, aumenta proprio perché a non voler cambiare è la mentalità maschile alla base e quella maschilista eterosessista in generale.
Vedere una madre assolvere il proprio figlio stupratore nonostante le evidenze di reato; assistere alla colpevolizzazione secondaria da parte del comandante della Polizia municipale di San Gavino Monreale nei confronti delle ragazze che si permettono di lamentarsi di uno stupro solo perché in precedenza avevano bevuto; ascoltare lo stesso discorso – stavolta trasmesso in televisione e magari più favolistico nei toni – propinando la medesima vecchia storia del lupo che se non stai attenta finisce per mangiarti (un bel riferimento ai fratelli Grimm che comunque ricordiamo, vivevano nel XIX° secolo), sono tutte testimonianze di un Paese meritevole urgentemente di un cambiamento culturale.
Un Paese che non ha più tempo, lacrime o pazienza per sperare che le menti cambino spontaneamente senza uno sforzo preventivo, finanziamenti statali concreti e politiche mirate all’eliminazione della violenza di genere.
Non si elimina la violenza contro le donne con slogan populisti, con hashtag acchiappa like, con irresponsabili #NotAllMen, con bei discorsi e promesse da piena campagna elettorale. Prepariamoci a un 25 novembre di fuoco. Tutte insieme.
3 Responses
Troppi uomini, quando si trovano ad ascoltare notizie di stupri davanti a donne conoscenti, sostengono che voterebbero per la pena di morte contro gli stupratori. Sanno perfettamente che non sarebbe possibile.
Poi, quando si trovano al bar con i “compagni di merende”, fanno le solite battute sessiste e continuano a vedere le donne come prede, invece che come persone.
Forse sono gli stessi uomini a capo delle varie istituzioni/partiti politici che promettono da anni e che in realtà non hanno mai voluto il cambiamento culturale necessario?
Occorre una svolta femminista di tutto il Paese, perché il patriarcato sta portando alla distruzione non solo sociale, ma anche ambientale, dato che i cambiamenti climatici sono causati dal capitalismo, che è essenza del patriarcato
Come non essere d’accordo? Bisogna da subito cominciare con una sana educazione sessuale/sentimentale, anche a scuola, ma capisco che al momento, al punto dove si trova ora il nostro paese (in profonda regressione dal punto di vista umanistico) è chiedere l’impossibile 😭
Concordo e ringrazio dell’analisi, puntuale
e approfondita. La violenza di genere deve diventare un problema degli UOMINI, sono loro che la agiscono.