PERIOD Think Tank: una corrispondenza estiva

Tutti i numeri del gender gap nel filo diretto tra Francesca Valente, Giulia Sudano e Arda Lelo (presidentessa, e vice, di PERIOD Think Tank). Perché i dati sono crudi: e “nessuno potrà dire ‘esagerate sempre’ “.

All’inizio dell’estate, ad un festival di musica a Milano, ho conosciuto Arda. Dopo pochissimi minuti, stavamo parlando di disparità di genere e prima dell’inizio del concerto ci eravamo già scambiate i contatti. Arda Lelo è vicepresidente di PERIOD. Think tank, un’associazione femminista nata nel 2020 «dalla sorellanza, dall’attivismo e dalla volontà di un gruppo di sette fondatrici che vivevano tra Bologna e Roma». Non potevo non chiederle un’intervista.

Io, lei e Giulia Sudano -presidente del think tank- ci siamo rincorse per tutta l’estate per fissare un incontro -telematico: io sono a Milano, Giulia a Bologna e Arda a Roma-, ma per impegni vari, influenze, ferie e convegni abbiamo invece avuto un fitto scambio di mail, le quali mi hanno comunque permesso di interrogarle sul percorso e sulle attività che, come associazione, stanno portando avanti.

Cos’è PERIOD. Think Tank e da chi è formato?

PERIOD. Think tank attualmente conta 20 associatə in tutta Italia che si ritrovano con l’obiettivo di contribuire alla promozione dell’equità di genere in Italia attraverso un approccio femminista ai dati, riunisce persone con competenze tecniche sull’analisi dei dati e con esperienze nel movimento femminista e movimento lgbtqia+.

Cosa significa avere un approccio femminista ai dati e che effetti ha?

Avere un approccio femminista ai dati significa portare alla luce le oppressioni e le dinamiche di potere e di innescare consapevolezza e un percorso di cambiamento verso sistemi equi e giusti. Il femminismo dei dati oggi è noto grazie al lavoro di ricerca e di sintesi fatto dalle ricercatrici e attiviste Catherine D’Ignazio e Lauren Klein, svolto rispettivamente al MIT di Boston e alla Emory University. Secondo le ricercatrici D’Ignazio e Klein l’analisi dei dati oggi è un dispositivo di controllo e quindi di potere. È necessario, perciò, trovare un modo nuovo per cercare, analizzare e raccontare la realtà dei dati facendo tesoro delle idee del femminismo intersezionale, che non guarda cioè solo al genere, ma anche a tutte le altre dimensioni su cui si fondano le discriminazioni esistenti. Questa nuova cornice interpretativa e di azione è chiamata Data Feminism, dal titolo del libro pubblicato dalle due autrici nel 2020. Noi ci ritroviamo in questo approccio e abbiamo deciso di renderlo corale e sistemico all’interno delle attività di Period Think Tank con l’obiettivo di iniziare a raccogliere dati disaggregati almeno per genere anche in Italia. Raccogliere e comunicare dati significa esistere ed essere visibili, ad oggi ci sono ancora tantissime persone che nelle statistiche non esistono.

Tra le campagne che promuovete c’è #datipercontare attraverso cui si chiede alle istituzioni locali un impegno concreto a rendere aperti e pubblici i dati necessari a misurare il gap di genere. Chi siete riusciti a coinvolgere? Che risultati sono emersi e con questi dati cosa si può fare ora?

Abbiamo lanciato la campagna a marzo 2021 con un duplice obiettivo: raccogliere e avere accesso a dati disaggregati per genere e impegnare gli enti locali affinché la valutazione di impatto di genere diventi uno strumento obbligatorio per la definizione delle politiche e degli investimenti economici, a partire dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ma non solo. Attualmente alla campagna hanno aderito i comuni di Bologna, Milano, Palermo, Ravenna, Cento, Imola, Piana degli Albanesi, Crevalcore. I Comuni sono consapevoli della necessità di dover colmare i divari di dati di genere e di usare in modo migliore i dati di cui già dispongono per riuscire a fare una reale valutazione di impatto di genere delle politiche pubbliche. Serve molta formazione per saper leggere i fenomeni da un punto di vista di genere e per usare gli indicatori necessari a comprendere l’impatto delle politiche. Notiamo che quando le istituzioni intuiscono le potenzialità dell’uso dei dati di genere per la programmazione, si aprono delle grandi opportunità, ma servono investimenti delle pubbliche amministrazioni nella formazione e nella volontà di rivedere i processi interni del ciclo della performance istituzionale. Avere dati di genere incrociati con dati sull’età, sulla classe, sulla provenienza ecc. permetterebbe di programmare politiche molto efficaci per colmare i divari di genere. Per esempio, conoscere il numero e la geolocalizzazione di donne over 65 anni che vivono da sole in una città permetterebbe di prevedere nuove tipologie di politiche abitative, sanitarie, sociali per favorire un loro maggiore benessere e di conseguenza anche delle/dei loro caregivers. Lavoriamo in coordinamento da un lato con le pubbliche amministrazioni, dall’altro con la società civile per creare consapevolezza sui dati, sugli strumenti di monitoraggio e sugli investimenti relativi per ottenere impatti significativi per una società più equa e più giusta.

Chi sono i destinatari privilegiati di questi dati? Le istituzioni/le aziende/gli enti o la cittadinanza? E a chi servono di più?

Noi ci rivolgiamo a tutti i destinatari che hai elencato. Alla cittadinanza in senso ampio specialmente attraverso iniziative quali le scuole di monitoraggio civico che organizziamo in diverse parti di Italia in collaborazione con l’associazione Monithon per favorire il monitoraggio dei progetti legati ai fondi del PNRR. A Bologna insieme a Legambiente e Libera, abbiamo lanciato l’Osservatorio Civico del PNRR di Bologna per monitorare l’impatto dei progetti locali dal punto di vista di genere, ambientale e della legalità degli appalti. Ci auguriamo che possano nascere sempre più osservatori locali. Le istituzioni, a partire dai Comuni, sono gli altri interlocutori prioritari delle nostre attività perché il miglioramento della loro capacità di programmazione sulla base dei dati contribuirebbe in modo decisivo all’elaborazione di politiche più eque per tutte le persone. Per questo motivo appena nate abbiamo rivolto a loro la nostra prima campagna #datipercontare.

Per fare un ulteriore esempio pratico, abbiamo promosso questa estate un questionario sulla qualità di vita delle persone LGBTQIA+ a Bologna, che rientra nel progetto che abbiamo presentato insieme al Centro Risorse LGBTI per il “Patto per la promozione e la tutela dei diritti della comunità LGBTQIA+” redatto con il Comune di Bologna e altre 26 associazioni locali, per fare emergere fenomeni e bisogni di persone che altrimenti rimarrebbero totalmente invisibilizzati.

I dati servono a tuttə, ma proprio per questo è necessario che la popolazione in tutta la sua complessità e pluralità ci si possa ritrovare. Da tre anni lavoriamo quotidianamente affinché questo in Italia avvenga in maniera sempre più diffusa e capillare.

Nel novembre 2021 è stata promulgata la legge Gribaudo sulla parità salariale, legge che introduce l’obbligo, per le aziende sia pubbliche che private con più di 50 dipendenti, di redigere un rapporto basato su dati disaggregati per genere rispetto alla situazione del personale, dalle assunzioni alle promozioni, alle retribuzioni (Tale obbligo non esiste per le aziende con meno di 50 dipendenti). Cosa ne pensate di questa previsione? Può effettivamente aiutare alla lotta del gender pay gap nel mondo del lavoro?

Al momento ci troviamo nella seguente situazione: se guardiamo alle differenze rispetto alla retribuzione lorda oraria le donne guadagnano il 5% in meno rispetto agli uomini. Ma considerando il divario complessivo, composto da retribuzione oraria media, media mensile del numero di ore lavorate e tasso di occupazione, ecco che le donne guadagnano il 43% in meno degli uomini in Italia. La media europea si attesta al 36,2%. Questo avviene in parte anche perché le donne sono occupate part-time: secondo la sezione Lavoro e conciliazione dei tempi di vita Istat 2022 “la quota di lavoratori in part time involontario continua, tuttavia, a essere molto alta tra le donne (16,5% rispetto al 5,6% degli uomini)”. Se a questi elementi agganciassimo i dati sul lavoro di cura (ancora a prevalenza femminile sia in Italia che nel mondo) comprenderemmo che la lotta per il gender pay gap passa anche per iniziative, leggi e investimenti legati a promuovere una reale condivisione del lavoro di cura fra donne ed uomini. Senza un’azione forte volta al cambiamento culturale dei ruoli di genere rispetto al lavoro di cura, non avremo cambiamenti realmente strutturali. Inoltre, è bene tenere presente che circa il 95% delle aziende italiane ha meno di 10 dipendenti; quindi, questa misura rischia di avere un impatto estremamente limitato se non viene resa obbligatoria per tutte le aziende, prevedendo anche i dovuti supporti per una reale attuazione.

Una delle politiche che -secondo me- può veramente ampliare il potere contrattuale di lavoratrici e lavoratori, inserendosi perfettamente in un’ottica femminista (intesa come parità di opportunità e uguaglianza): sto parlando della trasparenza retributiva, definita in modo puntuale e strutturale dalla direttiva 2023/970 del Parlamento Europeo e del Consiglio. Ritengo che la raccolta di dati aggregati e la loro pubblicazione possano contribuire ad un sistema salariale (inteso in senso ampio, che prenda in considerazione la retribuzione in senso stretto –i schei-, ma anche i benefit e il welfare) più neutro ed equo. Voi che vi occupate della rilevazione di questi dati, cosa ne pensate? La trasparenza retributiva può veramente essere un punto di svolta?

La trasparenza retributiva è sicuramente un presupposto importante per aumentare la consapevolezza sui fenomeni strutturali di discriminazione fra i generi e quindi per favorire una reazione propositiva verso l’uguaglianza salariale a parità di mansione. Non crediamo possa generare da sola degli automatismi, di conseguenza serve accompagnare la misura con azioni capillari per la parità salariale a parità di lavoro a vari livelli: culturale, normativo, sociale ecc., di cui è importante saper e poter valutare poi l’effettivo impatto. Inoltre, è decisivo accertarsi che le informazioni siano facilmente accessibili e comprensibili per le persone, altrimenti se ne depotenzia l’effetto.

La parità di genere sta diventando il tema. Si parla sempre più spesso di pari opportunità, di certificazioni di genere e di occupazione femminile. La parità di genere è il quinto obiettivo dei 30 promossi dall’ONU, ma anche il Piano di Ripresa e Resilienza, attraverso le varie azioni e previsioni, deve trainare e promuovere una parità di genere. Dopo tutte queste chiacchiere, con dati alla mano, come siamo messə?

Male. L’Italia nel 2023 si trova al 79esimo posto in scala mondiale secondo il Global Gender Gap Report elaborato dal World Economic Forum. Il dato è ancora più preoccupante se si pensa che abbiamo perso 13 posizioni rispetto al 2022. L’indice considera diverse variabili tra cui educazione, salute ed empowerment politico, opportunità e partecipazione economica: in questo ultimo punto si registra il dato peggiore che ci vede al 104esimo posto su 146 paesi analizzati. Per quanto riguarda il PNRR siamo molto preoccupate sin dal suo avvio perché solo 1,6% dei suoi fondi è finalizzato a misure dirette per la parità, il 18,5% a misure indirette (es. fondi per asili nido), quindi per circa l’80% dei fondi non è previsto alcun tipo di impatto. Inoltre, il Governo non ha previsto un numero congruo di indicatori per monitorare l’impatto di genere trasversale delle diverse missioni del Piano, senza i quali è impossibile valutare l’impatto reale delle politiche da un punto di vista di genere.

Per questo motivo, è necessario un monitoraggio civico costante e capillare su tutto il territorio e abbiamo deciso di sviluppare una web app che permetta di esplorare in modo immediato i dati aperti rilasciati da Openpolis e Anac sugli appalti di gara dei fondi PNRR.  Dall’analisi dei dati pubblicati lo scorso aprile, emerge che il 96% delle 34.377 gare analizzate non prevede misure di premialità per la parità di genere, e nel 68% non ci sono obblighi per una quota di occupazione femminile o giovanile. In 5 missioni su 6 si hanno percentuali di applicazione delle misure premiali per la parità di genere sotto al 10%, nonostante il PNRR preveda meccanismi di premialità e di condizionalità per l’utilizzo dei fondi, e le due missioni a cui andranno la maggior parte dei fondi (Digitalizzazione e Turismo) insieme raggiungono solo il 5,6%. Per ulteriori approfondimenti: https://www.ingenere.it/articoli/monitorare-dati-genere-ripresa

Avete dedicato l’8 marzo al PNRR e all’emergenza abitativa. Come mai avete scelto questo tema e che dati abbiamo a riguardo? In che senso questo si connette all’assenza di un finanziamento del PNRR agli alloggi universitari?

Per quanto riguarda il tema della casa, le misure connesse all’edilizia residenziale pubblica sono ritenute fondamentali nel PNRR per il contrasto alle disuguaglianze di genere. Il testo del PNRR definisce che “la carenza abitativa si riflette differentemente su uomini e donne per via del differente ruolo familiare loro attribuito e del fatto che la maggior parte delle famiglie monoparentali siano affidate a donne”. A fronte di questa dichiarazione non sono però presenti dati di contesto e obiettivi numerici da raggiungere.

I dati del Report Annuale Istat, pubblicato a luglio 2022, hanno rivelato disuguaglianze di genere drammatiche, per esempio l’11,7% delle famiglie monogenitoriali è in povertà assoluta e l’80,9% delle famiglie monogenitoriali è composto da madri sole. L’incidenza di povertà assoluta delle famiglie dove sono presenti minori è pari al 28,2% se la famiglia è in affitto, contro il 6,4% di quelle che posseggono un’abitazione di proprietà e il 13,1% delle famiglie in usufrutto o in uso gratuito. I dati disponibili ad oggi non permettono però di collegare la condizione di povertà individuale per genere alla tipologia di godimento dell’abitazione in cui si vive.

Per quanto riguarda gli alloggi universitari, a luglio 2023 è stata sbloccata la terza tranche di investimenti del PNRR, ma il target dei 7.500 posti letto previsti è scalato alla quarta tranche di fatto posticipando la questione che invece è di estrema urgenza come denunciano innumerevoli collettivi studenteschi. Il caro affitti e l’inflazione hanno reso ancora più difficile l’accesso alla casa per studentə e relative famiglie facendo quindi venire meno il diritto allo studio. A settembre 2023 l’Unione degli Universitari (Udu) ha lanciato la mobilitazione nazionale “Vorrei un futuro qui” partendo dall’Università degli Studi di Roma “Sapienza” che chiede alle istituzioni risposte concrete relative sia agli alloggi che alle tasse universitarie. Non esistono al momento dati in Italia che possano fornirci una panoramica disaggregata per genere dell’emergenza abitativa, ma secondo i dati Almalaurea il 20,8% delle donne che frequentano l’università arriva da una famiglia di estrazione sociale elevata rispetto al 24,5% degli uomini. E tra le donne è maggiore la percentuale di chi ha usufruito di borse di studio: il 26,9% rispetto al 22,8% degli uomini. Quindi la riduzione degli alloggi universitari rischia di avere un significativo impatto di genere negativo.

A proposito di PNRR, ho visto che PERIOD. È stato invitato al Parlamento Europeo. Vogliamo sapere tutto: cosa siete andatə a fare, com’è successo etc.

Siamo state invitate dalla Vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno insieme all’associazione Equall per presentare a parlamentari europei e funzionari/e della Commissione Europea le nostre ricerche sull’attuazione del PNRR in Italia, in particolare per quanto riguarda l’obiettivo trasversale di colmare i disequilibri di genere, esasperati ancora di più dalla pandemia.

Abbiamo fatto presente anche le nostre raccomandazioni:

1. rendere disponibile in tempi adeguati in formato aperto i dati inerenti alla misurazione dell’impatto dei progetti, come per esempio la distinzione per genere dei beneficiari e delle beneficiarie delle misure; il governo dovrebbe pubblicare una versione di Regis aperta con dati aggiornati;

2. far pubblicare tutta la documentazione inerente ai progetti in formato aperto, altrimenti non è possibile il monitoraggio civico; richiedere al governo indicatori di genere trasversali a tutte le missioni del PNRR da far monitorare a soggetti attuatori e stazioni appaltanti; rispettare l’impegno del coinvolgimento della società civile nella realizzazione del Piano; in particolare adesso, nella fase della sua rinegoziazione, il governo dovrebbe rendere pubbliche al più presto le proposte di modifica e prevedere un dibattito pubblico in merito.

A seguito dell’incontro, la Vicepresidente Picerno e altri/e parlamentari hanno presentato un’interrogazione alla Commissione Europea con le seguenti richieste: Come può la Commissione garantire che il governo italiano renda pubblici i dati di attuazione del PNRRP a fini di monitoraggio indipendente, in particolare i dati disaggregati per genere? Può la Commissione fornire orientamenti concreti su come monitorare gli impatti di genere delle misure non mirate al di là degli indicatori e dei punteggi adottati dai regolamenti delegati 2021/2105 e 2021/2106, e richiedere la raccolta di dati disaggregati per genere su tutti i 14 indicatori? Può la Commissione esigere che i principi di genere in materia di appalti non siano sistematicamente derogati dalle stazioni appaltanti italiane?

Ciò che è emerso fin dal mio primo incontro con Arda è che i dati sono crudi numeri che hanno il pregio di rendere immediata la percezione sulla disparità di genere e che, quando questi vengono presentati, nessuno può rispondere “Non è vero, esagerate sempre”.

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CONTRIBUTOR

  • Francesca Valente, triestina, femminista, appassionata di diritto del lavoro. Si laurea in giurisprudenza con una tesi interdisciplinare sullo sfruttamento del lavoro delle donne migranti. Durante il percorso accademico svolge un tirocinio curriculare prima nell'ufficio legale di I.C.S., Ufficio Rifugiati Onlus, poi nel centro di prima accoglienza Casa Malala. Prende parte al progetto Erasmus, trascorrendo sei mesi a Lione, dove frequenta corsi in Filosofia e Sociologia delle disuguaglianze e delle discriminazioni presso l'Institut d'études du travail de Lyon. Dottoranda con Adapt in Apprendimento ed Innovazione nei Contesti Sociali e di Lavoro presso l'Università di Siena, attualmente ricercatrice presso la FAI CISL. 

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