Non puo’ esserci pace senza femminismo

Sulla scia di paesi come Svezia e Canada, con 479 voti a favore, 93 contrari e 116 astenuti questo mese l’Unione Europea ha adottato in plenaria la proposta di una politica estera femminista. Si tratta di un approccio diverso dalle tradizionali modalità gerarchiche basate sull’ uso della forza militare, della violenza e del dominio. Per il Center for Feminist Foreign Policy, una politica estera femminista è una modalità intersezionale che pone il focus sulle donne e i gruppi emarginati e più vulnerabili come una lente che permette finalmente di esaminare gli esiti delle forze distruttive del patriarcato, della colonizzazione, dell’eteronormatività, del capitalismo, del razzismo, dell’imperialismo e del militarismo

La necessità di un riequilibrio di genere in questo settore è stata confermata già nel 2015 da uno studio dell’International Peace Institute: se le donne vengono coinvolte nei processi decisionali, l’accordo di pace ha una possibilità del 35% in più di durare almeno 15 anni. Con una prospettiva del genere, ci aspetteremmo Stati pronti a cercare esperte da inserire nei processi di pace internazionali. Invece gli ultimi dati delle Nazioni Uniti ci mostrano che tra il 1992 e il 2018 le donne sono solo il 13% delle negoziatrici, il 3% delle mediatrici e il 4% delle firmatarie mentre su 82 accordi esaminati nel periodo 1989-2011 dalla rivista International Interactions le firmatarie non arrivavano al 20%.

Sono passati 20 anni dalla storica Risoluzione 1325 Donne, pace e sicurezza eppure molto c’è ancora da fare nella politica estera e di sicurezza internazionale. Un primo passo è stato fatto qualche anno fa: nel 2014 la Svezia è stato il primo stato ad adottare una politica estera dichiaratamente femminista e, quattro anni dopo, a dotarsi di un Manifesto specifico per perseguirla. Ben presto, si sono aggiunte anche Francia, Canada, Messico e Spagna.

Per dare un segnale forte e mostrare come le donne siano essenziali nella diplomazia, nel 2018 l’allora Ministra degli Esteri Margot Wallström invitò esperte e attiviste yemenite ai negoziati di pace per lo Yemen. A distanza di tre anni però, il loro coinvolgimento nei processi decisionali e nei negoziati di pace è rimasto solo marginale. 

“Non basta dare voce alle donne, magari dopo pressioni esterne, se poi queste non possono votare o non hanno diritti. E’ inaccettabile escludere le donne dai processi di pace solo perché una o più parti in guerra si rifiutano di riconoscere la loro presenza”. Lo ha rivelato in una conferenza dell’International Peace Institute, l’ex ministra per i diritti umani in Yemen Amat al-Alim Alsoswa.

In Yemen infatti le donne sono state mediatrici locali durante tutto il conflitto e, durante il COVID, si sono attivate nelle loro comunità per la produzione e ridistribuzione di dispositivi di protezione individuale come mascherine o indumenti protettivi per il personale sanitario. Le Yemenite hanno avuto un ruolo sociale chiave, eppure il loro coinvolgimento al tavolo delle decisioni è rimasto solo formale. Le Yemenite vogliono essere agenti non vittime dei processi di pace, proprio come le loro sorelle afghane, birmane, russe o ucraine. Stessa situazione, infatti, si sta verificando per i negoziati in Ucraina: tutti uomini al tavolo di Gomel. Ancora una volta. Possibile che ambo le parti non ci siano figure femminili legittimate e competenti per svolgere questo ruolo? 

In una società caratterizzata dall’inquadramento androcentrico della sicurezza, includere le donne ai vertici della politica estera e della diplomazia non è solo una questione di giustizia sociale ma è un vantaggio in termini di successo dei trattati di pace. Un’azione esterna basata sull’empowerment femminile e sulla promozione dei diritti umani è un vantaggio per tutta la società. I dati parlano chiaro ma i governi si rifiutano di ascoltare: non può esserci pace senza femminismo. 

Photo by Atanas Paskalev on Unsplash

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CONTRIBUTOR

  • Arianna Vignetti

    Arianna Vignetti ha 23 anni, Contemporanea ed è la lead di Roadto50%, progetto europeo per il riequilibrio di genere. La sua passione per la politica, l’Unione Europea e le relazioni internazionali la portano a laurearsi in Scienze Politiche, Sociali ed Internazionali- Relazioni Internazionali nel 2019 presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna e a decidere di completare gli studi con un Master Degree in Global Studies presso la LUISS Guido Carli University di Roma. E' una delle Ambasciatrici della Fondazioni Megalizzi per promuovere l'UE nelle scuole.

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