“Donne che hanno osato, donne che hanno osato per impeto, per ragione o per amore”. È uno di passaggi più citati del discorso tenuto con eloquenza retorica da Giorgia Meloni alla Camera dei deputati il 25 ottobre. Nel chiedere la fiducia, la nuova premier espone la sua visione politica per un’Italia che dovrebbe venire, sulla base del consenso elettorale ricevuto, come espressione della “volontà popolare”. Il discorso vuole essere di ampio spettro, contro governi frammentari, brevi ed emergenziali. È un discorso che rivendica il successo elettorale e una concezione fortemente maggioritaria della democrazia. È poco consensuale e pacificante nei confronti dei “vinti”, allorché si rivolge contemporaneamente al Parlamento, al Paese, ma anche ai suoi riottosi alleati che certamente non rappresentano “il nuovo” delle competenze.
Il discorso – generico nei contenuti ma preciso nella rotta, più politico che programmatico, più ideologico che accogliente – va dunque letto non soltanto nell’ambito di una rinnovata tradizione della “destra democratica italiana” al governo (per cui “a dispetto di quello che strumentalmente si è sostenuto, non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici; per nessun regime”), o solo in relazione ai commenti conseguiti da parte dell’opposizione parlamentare. Il testo va bensì analizzato in rapporto alle reazioni avute nel discorso pubblico e soprattutto nel dibattito femminista.
Stretta fra conservatorismo e innovazione, la tradizionale concezione protezionista e sicuritaria dello Stato della destra sociale si combina così con gli interessi del libero mercato, dove accanto a vecchi imprenditori si uniscono nuove società, nella prospettiva di facilitazioni finanziarie e commerciali, di cui beneficeranno sia imprese locali che investitori stranieri. Il discorso di Meloni si articola così su diversi piani: dal punto di vista politico si colloca nell’alveo sicuritario della destra tradizionale; sul piano economico si integra con la prospettiva liberista; sulla questione dei diritti civili e dei valori post-materialisti si riconferma in una posizione conservatrice. La famiglia, come “istituzione formativa”, viene concepita come il “nucleo primario delle nostre società, culla degli affetti e luogo nel quale si forma l’identità di ognuno di noi; intendiamo sostenerla e tutelarla e, con questa, sostenere la natalità.” La famiglia è di nuovo concepita come immediatamente connessa alla riproduzione biologica. Il governo diventa una sommatoria di law and order, libero mercato e tradizione di genere.
È tuttavia necessario comprendere anche le novità che il discorso di Meloni ha introdotto nel discorso pubblico e nell’immaginario collettivo, tale da capovolgere le attese paritarie del movimento delle donne e della sinistra, che sono state “superate” nell’attribuzione a donne di cariche politiche apicali. Nella precedente legislatura era stata Alberti Casellati, prima presidente donna al Senato, e ora c’è Meloni, prima leader donna a capo del governo, che dall’opposizione passa alla guida del Paese.
Tale dato di fatto istiga una radicale riflessione sul controverso rapporto tra genere, partiti e politica e più in generale sulla complessa relazione fra donne e potere, un tema che da ormai molti decenni viene dibattuto serratamente in ambiti femministi, tanto da diventare uno degli ambiti di studio più importanti nella letteratura internazionale, anche a proposito del ruolo giocato da donne in partiti populisti e di destra.
La nomina di Meloni a “primo ministro” e nello specifico a “primo ministro e prima donna” ha aperto un serrato dibattito nelle donne di sinistra, dove accanto a consuete critiche contro l’evidente tradizione di destra che Meloni porta con sé, viene aperta una riflessione sul “nuovo” che ciò comporta, nel raggiungimento di un obiettivo cruciale, privato dell’appoggio del movimento delle donne. Viene espresso apprezzamento per chi “È arrivata lì senza meccanismi di cooptazione”. Vengono manifestati inviti a mettersi in guardia rispetto a possibili attacchi misogini e sessisti (considerati da ben tre commissioni parlamentari come le più frequenti espressioni di linguaggi d’odio) e di “essere forte” per “affrontare ogni cosa.” Il riconoscere il dato di fatto che una donna “ce l’ha fatta” provoca altresì disorientamento e la necessità di ripensare la logica costitutiva dei partiti, fino a poco tempo fa al governo.
Entro tale orizzonte di riorientamento collettivo, riemerge una domanda tanto semplicistica, quanto vera, ovvero: perché la maggior parte delle donne al potere – salvo qualche eccezione nei Paesi nordici – appartengono a partiti conservatori, se non reazionari? Si tratta solo del fatto che queste donne si conformano al linguaggio maschilista e ai meccanismi patriarcali del potere, oppure si tratta di una questione ben più complessa che riguarda la struttura, le scelte e l’ascrizione delle componenti femminili ai partiti, che possono indurre un acquietamento pacificante dei conflitti di genere, a favore di logiche correntizie?
Le donne di destra che hanno “preso il potere” in Europa, sono in molti casi fondatrici di partiti di cui diventano leader per superare le resistenze machiste. Si oppongono spesso ai “padri fondatori”, da quello biologico come nel caso di Marine Le Pen a quello simbolico per Meloni. Già nel 2012, come parte del partito unico del Popolo della Libertà, Meloni si era opposta a Berlusconi a proposito delle primarie. Era uscita dal partito, pur rimanendone alleata, e aveva co-fondato il nuovo partito di Fratelli d’Italia. Qualche settimana fa aveva poi rimandato al mittente le assidue pressioni ricevute con la nota frase “io non sono ricattabile”. E così, gli aggettivi scritti da Berlusconi come appunti avversativi – “supponente, prepotente, arrogante e offensiva” – si erano subito trasformati in elementi di “merito”. La capa era lei.
La leadership di Meloni non è tuttavia casuale. È stata costruita nel tempo attraverso una precisa “narrazione popolare” e agiografica della sua biografica, dove l’origine politica viene normalizzata e neutralizzata in senso sociale, a favore della sua storia esistenziale, di cui dà conto nell’autobiografia su Io sono Giorgia. Le mie radici le mie idee (2021). La genealogia familiare viene altresì rafforzata dalla sua parlata romanesca che la fa percepire come persona “autentica” e “verace” che proviene dal basso, che ha preferito continuare a vivere in periferia e che parla direttamente agli interlocutori senza diaframmi e intellettualismi. Si definisce una donna capace di verità e di coerenza. Si rappresenta come una donna sola al comando che brandisce lo scettro e la spada e che “non sta un passo indietro agli uomini”.
Il modello di leadership che incarna Meloni è dunque una “commistione” dinamica tra rinnovamento della tradizione della “destra democratica” (che a suo parere ha “affermato e incarnato, senza alcuna ambiguità, i valori della democrazia liberale”) e il retaggio storico che ancora connota la sua visione nel dibattito sul post-fascismo.
Interessante diventa allora l’utilizzo “ibrido” ed eclettico del linguaggio del corpo, non certo neutro. Meloni interpreta e sovrappone di volta in volta elementi di genere maschili e femminili, a secondo dei ruoli che interpreta: dagli abiti colorati con gonne per i comizi al tailleur in tinta unita con pantaloni per il discorso alle Camere; dagli anfibi per il picchetto militare al vezzo delle scarpe décolleté per il rito dello scambio della campanella. Anche l’uso linguistico è variabile: parla di sé al maschile come “uomo politico”, chiedendo in una nota ufficiale di essere chiamata “il Primo Ministro” (e quindi in visite ufficiali sarà accompagnata dal First Gentleman, compagno ma non-marito), ma nello stesso tempo nomina sé stessa al femminile come donna, madre e cristiana. Questo binarismo integrato indica una intrinseca contraddizione, a segno di un’articolata fluidità linguistica e comportamentale. Sembra essere a suo agio nelle diverse situazioni che sa interpretare con ironia o durezza, con emozione o sarcasmo, a segno di trent’anni di militanza, di sedici anni di rappresentanza parlamentare (a partire dal 2006, in cinque legislature) e di quattro anni come ministro (2008-2011).
Cresciuta in una famiglia di sole donne (con la sorella e la madre che doveva sbarcare il lunario), Meloni decide a 15 anni di unirsi al “Fronte della Gioventù” (scelta che attribuisce all’uccisione di Borsellino), quando nel suo quartiere – la Garbatella – la maggioranza della popolazione, operaia, era di sinistra. Meloni cresce con una personalità oppositiva, che non si sottrae a conflitti e scontri, cercando di contrapporsi a quel futuro che il destino sembrava averle consegnato come underdog. Studia lingue in un istituto professionale alberghiero, sfida gli studenti di sinistra e il femminismo, anche se riconoscerà i risultati delle battaglie politiche e dei diritti acquisiti (“Vedremo, alla prova dei fatti, anche su diritti civili e aborto, chi mentiva e chi diceva la verità in campagna elettorale su quali fossero le nostre reali intenzioni”).
Diventa subito leader di “Azione studentesca”, come ricorda una canzone a lei dedicata nel 1998 dalla band di estrema destra “Aurora”, dal titolo “Pcaiucdb”, acronimo di “Piccolo coatto antico in un corpo da bambina“. L’uso del maschile include i suoi tratti femminili, in una commistione di linguaggi di genere, come accadrà successivamente. “Coatto antico in un corpo da bambina. Ce tieni un core grosso e na mente fina. Coatto antico dici troppe parolacce. Ma quanta grazia con il trucco e con le trecce”. Era destinata a guidare un movimento che “senza te va in rovina”. Sono gli stessi amici, coetanei, che l’accompagneranno nel lungo cammino verso il potere; amiche e donne non si configurano invece mai come compagne politiche.
L’autocomprensione di Meloni per la sua leadership viene del resto chiaramente espressa nel discorso tenuto alle Camere. Riferimenti biografici si assommano a scelte tanto conservatrici, quanto liberiste, assecondando un nuovo patto consociativo. Cerca altresì la ragione politica di sé, autolegittimandosi attraverso due concetti fondativi: la pratica dell’osare e le azioni per la libertà, intesa in senso personale, politico, sociale, economico e finanziario.
Nella tradizione della filosofia politica, l’idea di “osare” rimanda immediatamente al testo di Kant su «Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?», scritto nel 1784, dove l’Illuminismo viene inteso come “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. (…) Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo”.»
Probabilmente Meloni non si riferisce a Kant, ma sicuramente ad un portato della modernità illuminista, allorché si riferisce con gratitudine a “Donne che hanno osato, donne che hanno osato per impeto, per ragione o per amore”, quali persone che hanno indotto un cambiamento paradigmatico rispetto al passato. È una catena di donne che hanno trasformato l’esistente e rotto il “tetto di cristallo”. Ma sono citate come singole. Non c’è alcun riferimento al femminismo, ma solo a casi esemplari di donne talentuose e coraggiose che hanno fatto la differenza. In realtà, queste donne non erano e non sono isolate; erano e sono parte di un più ampio movimento internazionale delle donne che ha costruito il necessario substrato sociale e politico per un cambiamento strutturale di istituzioni inique e per la trasformazione culturale di mentalità patriarcali.
Meloni si pensa al singolare, soprattutto quando parla di libertà: “Ho conosciuto giovanissima il profumo della libertà. (…) Io sono sempre stata una persona libera, sarò sempre una persona libera e, per questo, intendo fare esattamente quello che devo.” Meloni si riferisce però alla libertà anche quando pensa al mercato: “Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia va sostenuto e agevolato”, ovvero “libertà di essere, di fare, di produrre.” Con ciò che si vuol garantire “un futuro di maggiore libertà, giustizia, benessere e sicurezza.” Il lessico di Meloni indica qui volute rimozioni; mancano infatti gli altri due concetti fondativi dell’illuminismo che stanno alla base dei diritti umani: le idee formali, sostanziali e pragmatiche di uguaglianza/ parità e fratellanza/ solidarietà, ovvero i concetti di egalitarismo e condivisione. La “libertà di fare” va regolata. La libertà è sempre contemporaneamente “libertà dall’oppressione” e “libertà assieme ad altri esseri umani”.
Se sono indubbi i meriti personali di Meloni e la sua determinazione, è tuttavia impensabile che l’ottenimento della carica che ricopre sia accaduto senza molteplici sostegni e cordate a suo favore. È altresì vero che è stata capace di far sì che ciò accadesse.
Donna d’opposizione e di lotta, che fonda le sue capacità comunicative su una intelligenza strategica e relazionale (anche se non necessariamente empatica), dovrà ora fare i conti con la necessità di ridurre i conflitti per mantenere il consenso, evitare di aggredire l’opposizione, trovare spazi di persuasione. E già sono chiare le smussature adottate per giungere all’obiettivo della «democrazia decidente». Propone una nuova formula di presidenzialismo “temperato”, al fine di trovare sponde nell’opposizione, riformulando il populistico “andare al popolo”. “Siamo fermamente convinti del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale in senso presidenziale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare”, secondo l’ipotesi di un “semipresidenzialismo sul modello francese”. E alcuni si sono già espressi a favore di tale proposta….
È indubbio che certi commenti contro le modalità di “leadership” di Meloni racchiudano stereotipi sessisti contro donne assertive, impositive e “comandanti”, che non avrebbero per questo caratteristiche “femminili”. È altrettanto vero che tale modello incontra molteplici critiche da parte di femministe per via della mancata relazione con la storia e le pratiche dei movimenti delle donne in senso anti-autoritario, con la conseguenza di rinfocolare la tradizionale figura di destra del solo uomo/ donna al potere.
È inoltre incontrovertibile che il dato di fatto della nomina governativa di Meloni pone radicali domande sulla leadership femminile all’interno dei partiti, fondati su correnti e sulla pratica della cooptazione che spesso impediscono il libero sviluppo delle personalità e delle capacità politiche delle donne. E si è giunti al paradosso che azioni positive per un’equa rappresentanza, unite ad una sciagurata legge elettorale, abbiamo permesso addirittura una retrocessione del numero delle donne in parlamento, scendendo dal 35% del 2018 all’attuale 31%. Le pluri-candidate – che sono state utilizzate per rispettare l’alternanza di genere nelle liste – hanno avuto un effetto flipper, tanto da aver privilegiato alla fine le candidature maschili. E tutto ciò avviene a fronte della nomina di un primo ministro donna e l’aumento dell’astensionismo femminile. La questione del rapporto tra donne, rappresentanza e potere va dunque ripensata in relazione alle sfide attuali e alla crisi della democrazia rappresentativa. Le opportunità vanno create secondo nuove prospettive di giustizia sociale in un’età delle poli-crisi e dalle multiple emergenze, dove lo Stato sociale deve rappresentare un welfare rigenerativo di prossimità. Giustizia e libertà non possono essere dissociate.
Senza dubbio bisogna imparare dal dato di fatto di una donna premier di destra, riformulando la pratica dell’osare e della libertà secondo una prospettiva progressista. Meloni afferma che “La libertà è il fondamento di una vera società delle opportunità.” “Libertà, libertà. Libertà e democrazia sono gli elementi distintivi della civiltà europea contemporanea”. “«Siate liberi», perché è nel libero arbitrio la grandezza dell’essere umano”.
La libertà non può essere tuttavia concepita solo in senso individuale. È piuttosto una pratica “con”, ovvero egalitaria e solidale, contro ogni violenza, a partire da quella di genere. Ed emergono qui le radicali differenze fra destra e sinistra, sulla base di diversi approcci identitari e di ascendenze ideologiche. La concezione della libertà nella destra è declinata in senso individualistico, tanto che Meloni sostiene gli argomenti dei no-vax, preferendoli al diritto che lo Stato ha di garantire la salute pubblica e di diminuire le morti. La sinistra concepisce invece la libertà come un processo collettivo, che dall’emancipazione porta alla liberazione di tutte/i. E come ricordava Bobbio, la distinzione riguarda soprattutto la differente idea di eguaglianza.
Libertà implica pertanto un’idea regolativa di eguaglianza e solidarietà, ma anche il riferimento ad una continua lotta contro il dominio, la non-paura del conflitto agonistico e del dissenso, in ogni luogo di vita. Significa mettere anche in discussione le gerarchie dei partiti, le selezioni delle candidature, sostenendo mozioni di minoranza competitive contro logiche maggioritarie intimidatorie, cercando comuni strategie che vanno al di là delle spartizioni correntizie che limitano volontà, capacità e immaginazione politica. E che il consenso su questioni comuni venga nuovamente cercato dal basso, nei territori e nelle vite delle persone che si intende rappresentare secondo nuove forme di legittimazione democratica.
La leadership femminile in Italia può avere una diversa sostanzializzazione rifondante, se la si intende come “potere condiviso” e la si svincola dai limiti creati da logiche patriarcali, da divieti paternalistici ed egotici, da pregiudizi culturali, da forme di auto-inibizione, applicando una diversa pratica dell’osare per il conseguimento della libertà individuale/ collettiva e di una prosperità comune, contro ogni forma di violenza e sopruso. Come affermava Hannah Arendt, potere e libertà non sono opposti. Il potere è “comunicativo”, perché significa agire di concerto, nonostante i dissidi. Gli esseri umani sono unici, ma nel contempo sono plurali nel loro vivere consociato. La politica diventa quell’azione praticata attraverso parole e pratiche in un comune spazio pubblico, dove le differenze diventano un valore. La politica deve sempre creare il nuovo. Pensare ad un rinnovato rapporto tra donne, potere, politica e società diventa una sfida per la “cura del mondo”. E anche qui Meloni sarà sfidata nel suo doversi confrontare con le medietà inclusive che l’esercizio dell’arte del governo comporta, senza rapportarsi unidirezionalmente a tattiche politiche di parte. Dovrà quindi abbandonare i toni revanscisti, nostalgici e identitari che hanno connotato la sua idea di potere e libertà. E Meloni dovrà guardarsi da Giorgia. E anche le donne di sinistra potranno osare.
2 Responses
Un articolo secondo me importante oer capire l’argomento e la situazione. Devo dire di aver imparato tante cose . La visione é globale ed evidenzia le problematiche sollevate.
Purtroppo le tattiche politiche di parte sono già cominciate e questo compromette il beneficio che il vedere per la prima volta una donna al potere può arrecare a quel movimento femminista, che peraltro LA Presidente osteggia.