Childfree è una parola che in Italia non si sente spesso, per lo meno nel linguaggio popolare. Il termine sta ad indicare le persone che consapevolmente scelgono di non avere figli, di vivere una vita senza prole per concentrarsi sul proprio benessere, ma anche di abbracciare una scelta etica contro il sovraffollamento globale. Ogni qualvolta una persona Childfree fa coming-out, specie se socializzata come donna, diventa notiziabile: se ne parla sui media, scatena polemiche social e anima i salotti televisivi. Ma perché? Come mai dovrebbe far notizia l’esercizio di una libertà riproduttiva? È davvero una questione di genere? In questo articolo proveremo a capirlo meglio.
È necessario fare una distinzione, anche perché le persone tendono a generalizzare sul tema. Una persona Childfree lo è per scelta, a differenza di quelle che desiderano un figlio ma per una serie di ragioni non sono in grado di riprodursi: in quel caso il termine corretto è Childless. Tali individualità differenti vengono frequentemente confuse e sono spesso in conflitto tra loro. Altre realtà importanti da conoscere sono le No Kidding People, persone Childfree che non desiderano figli per non proiettarli in un mondo precario in maniera irresponsabile. Infine ci sono i DINK, acronimo per Double Income No Kids, coloro che al momento non vogliono una prole, ma che non escludono di progettarla in futuro.
Sono moltissime le persone Childfree, anche in Italia, eppure la reazione al coming-out cambia radicalmente in base al sesso e al genere percepito. Se infatti sei una donna Childfree – così come una persona trans female presenting – la società si accanirà su quello che resta un tuo diritto: il non figliare. Le donne childfree sono soggette alla medesima pressione performativa data dal ruolo di genere socialmente imposto. Ruolo patriarcale che vede le medesime come fattrici, come donne in quanto madri o future genitrici. In Italia l’ostracismo è particolarmente sentito a causa dell’influenza data dal nostro bagaglio culturale di stampo cattolico. L’immagine della Vergine Maria rivela come il ruolo femminile, quando rifiutato, viene percepito come un glitch, come un meccanismo difettoso da correggere.
Si ricorre allora al senso di colpa, al terrorismo psicologico incarnato dallo spettro della solitudine in tarda età. Una delle frasi più gettonate – e che io stessa, essendo Chilfree a mia volta, mi sono sentita rivolgere spesso – è “Chi si prenderà cura di te quando non sarai più in grado di pensare a te stessa?” Oppure, “Chi ti starà accanto quando morirai?” Capite bene la tossicità dell’intenzione di riprodursi se la logica è questa. Come si può pensare infatti di fare figli solo per assicurarsi l’assistenza per la vecchiaia? Vedere la prole come sostitutiva di un buon welfare? Senza tenere conto del fatto che un buon numero di persone Childfree nel mondo decidono di sterilizzarsi per non incrementare ulteriormente il sovraffollamento (siamo a quota 8 miliardi nel 2022).
Ricordiamo tutt* la persecuzione decennale perpetuata ai danni dell’attrice statunitense Jennifer Aniston, costantemente bersagliata dalla stampa sulla sua possibile gravidanza, oltretutto sempre smentita. O le indiscrezioni rivolte a Sabrina Ferilli sul perché non senta l’istinto materno e l’orologio biologico ticchettare – teorie entrambe non dimostrabili scientificamente. Ci siamo tristemente abituat* all’atto di commentare una scelta o una condizione di cui, nove volte su dieci, non sappiamo assolutamente nulla. Che si tratti di un personaggio pubblico o meno.
E gli uomini? O socializzati tali? In quel caso lo stigma colpisce in maniera diversa ma altrettanto pesante. Un uomo senza figli viene ancora visto come lo scapolo d’oro, lo si associa al ruolo promiscuo e irresponsabile che la società critica e al tempo stesso incoraggia. Un uomo che non vuole figli perché si sa come sono gli uomini, no? Si sa che mascolinità non fa rima con responsabilità! Non avendo essi, in genere, un corpo gestante potenzialmente gravido gli si perdona in parte tale scelta. Alle donne invece, discriminate in quanto tali, non vengono ancora tollerate nell’esercizio dell’autodeterminazione; che si tratti di aborto o di vivere senza figli.
A differenza di quello che si potrebbe pensare, quella Childfree non è una rinuncia bensì una riconquista. Negli ultimi anni le donne Childfree italiane sono aumentate esponenzialmente. Complici la crisi economica, un welfare non sviluppato, il caro vita e la precarietà lavorativa – oltre ai prezzi proibitivi per il sostentamento del possibile pargolo – le donne hanno sempre meno motivi per riprodursi. E non c’è Fertility Day che tenga!
Secondo la giornalista Valeria Arnaldi, autrice di un prezioso saggio sul tema intitolato Non Chiamatemi Mamma – Senza Figli e Senza Sensi di Colpa, edito nel 2018 da Iacobelli Editore, le statistiche ufficiali dimostrano come la consapevolezza delle donne si accompagni a una riscoperta delle proprie potenzialità al di là del ruolo tradizionale di madre. Le donne oggi si informano di più, quindi conoscono gli effettivi pro e i contro della maternità. Quelli economici in primis. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale Federconsumatori, il costo per crescere un figlio fino alla maggiore età è di circa 171.000€. Una donna madre subisce, in aggiunta, una percentuale più alta di mobbing, motivo per il quale rischia di perdere il posto di lavoro.
Grazie all’indagine GFK – EuriskoLUNADIGAS è inoltre possibile tracciare un ritratto approssimativo della donna childfree italiana. Donne prevalentemente del Centro-Nord – e qui sarebbe utile una riflessione sulla questione meridionale, ma ne parleremo senz’altro in futuro – sentimentalmente impegnate, laureate (o comunque in possesso di un diploma), con un reddito medio-alto; sono in maggioranza imprenditrici, dirigenti o lavoratrici autonome; hanno molti interessi, sono dinamiche, politicamente impegnate o interessate; sono dotate di forte equilibrio razionale e sentimentale; amano viaggiare e si concedono delle piccole vacanze, indugiano negli svaghi e coltivano la cultura personale; investono le possibilità economiche su se stesse e il proprio benessere, hanno un buon sistema immunitario, fanno scelte alimentari eco-sostenibili; non sono ossessionate dalla cura della casa, amano spendere il loro denaro ma con il giusto criterio.
Come abbiamo visto, quello delle donne Childfree è un vero investimento, non solo per il pianeta, ma anche per la propria autostima e la propria crescita personale quali individui districati da logiche sociali e aspettative di genere. Allo stesso modo però subiscono anche loro forme di mobbing, molestie sessuali, azioni persecutorie come declassamento di ruolo (dati OMS).
Abbiamo accennato all’inizio dello scontro tra Childfree e Childless people (o di persone terze che strumentalizzano le ultime per penalizzare ulteriormente le prime). È difficile rivendicare la propria scelta senza il confronto con chi di figli vorrebbe averne e invece non può. Si urla all’egoismo, all’ingratitudine (verso chi non si sa) e si rimprovera le persone Childfree di essere delle immature irresponsabili. Tutto col fine di penalizzare la scelta di chi contravviene a certe dinamiche di potere. Nel 2022 non è più accettabile.
La realtà è che le donne vengono spinte a riprodursi perché è quello che ci si aspetta da loro, semplicemente, tant’è che ci si permette di invaderne l’intimità per puro desiderio di conformarle. E poi ci stupiamo delle madri pentite – altro stigma di cui si parla ancora meno – o addirittura delle madri assassine! Le prime vivono una vita di rimpianti e rinunce, che però non hanno spazio nel discorso sul supporto alle madri in difficoltà, proprio perché la narrazione inerente la maternità prevede proprio questo: silenzio assordante, repressione delle emozioni, isolamento e sopportazione. Una pressione psicologica il cui stress può portarle a farsi del male, o a farne alla prole.
Come abbiamo visto, i dati a nostra disposizione dimostrano che le donne Childfree sono più felici. I motivi sono vari: non vivono in funzione di qualcun altro, l’orologio biologico non è la regola ma un costrutto culturale, sono consapevoli di essere già complete e realizzate a prescindere, che non servono figli per sentirsi madri, che nella vita ci si può concentrare su altri traguardi, che l’istinto materno non è insito nei geni e che si può essere felici comunque. Di tutto questo è d’obbligo ringraziare ancora una volta il femminismo.