È stato ritrovato il corpo di Giulia Cecchettin, la ventiduenne sequestrata una settimana fa dal ragazzo con cui stava in precedenza, il coetaneo Filippo Turetta, lo scorso 11 novembre. È stato ritrovato a 50 metri dalle sponde del lago di Barcis, in Varcellina, provincia di Pordenone.
Dalle prime ricostruzioni, la 103esima vittima di femminicidio era stata picchiata fino al sanguinamento da parte del soggetto e poi costretta a salire in macchina con lui per una zona ancora ignota.
Secondo chi la conosceva, Cecchettin si stava allontanando da Turetta perché egli non riusciva ad accettare che ella si stesse per laureare in ingegneria e che per questo motivo lo stesse trascurando affettivamente.
Un movente che purtroppo abbiamo già sentito troppe volte: la donna si rivela soggetto, allora chi decide di negarle l’autonomia la riduce a oggetto da distruggere. Il motivo alla base? Considerarla una sua proprietà, da possedere e buttare via a piacimento.
Turetta è stato arrestato stamattina in Germania dopo essere stato ufficialmente indagato per omicidio con un mandato internazionale. Una fuga oltre i confini, più precisamente attraverso Austria, dove si sarebbe nascosto fino all’ingresso in territorio tedesco. Su come l’ennesimo “bravo ragazzo” sia riuscito ad archiettare tutto, e con quali fondi poi, non è ancora chiaro.
Fatto sta che il legale della sua famiglia non ha perso tempo e in una conferenza stampa ha ribadito la presunta innocenza e bontà dell’accusato: che a Cecchettin voleva bene, le faceva pure i biscotti…
Nelle scorse ore sono state organizzate diverse manifestazioni di rabbia contro il femminicidio di
Cecchettin: a Napoli, Padova, anche a Roma. Il movimento Non Una Di Meno ricorderà anche il suo nome in piazza.
A ridosso del vicino 25 novembre, questa notizia non può non ricordarci che la violenza di genere è un problema sociale urgente a livelli non più tollerabili. E che riguarda gli uomini più di quanto essi fatichino ancora ad accettare.
Non basta condannare il gesto infatti.
Servono subito: 1) una presa di posizione da parte del governo, 2) politiche di sostegno ai centri
antiviolenza, oltre che a finanziamenti seri e continui, 3) una vera educazione sessuo-affettiva, relazionale, concentrata in particolare sull’importanza del consenso e che possa fungere da prevenzione per il futuro.
E bisogna anche smetterla con le logiche esclusivamente punitive e non rieducative, con la narrazione mediatica garantista da una parte e carica di mostrificazione irresponsabile dall’altra, con un unico soggetto al centro: il colpevole.
Il femminicidio di Giulia Cecchettin, così come quello di Giulia Tramontano e di tutte le altre prima e dopo di loro, è responsabilità nostra: del nostro linguaggio, della mentalità comune, di come gli uomini pensano loro stessi e il genere femminile senza mettere in discussione le problematiche correlate alla costruzione del loro genere.
Non basta una copertina su una rivista per responsabilizzarsi: servono i fatti.
Cominciamo dalle azioni. Lo spazio per le scuse a parole è finito.