La governance di Cdp è argomento assai complesso. Come evidenziato da Gianni Trovati, su Il Sole 24 Ore, essa è “Governata da un consiglio di amministrazione di nove membri in cui, da Statuto, i due quinti dei membri devono essere del «genere meno rappresentato. L’organo di vertice è però integrato da cinque membri: i due rappresentanti del Mef, che per legge sono il Ragioniere generale e il dg del Tesoro, e i tre «esperti» scelti da Regioni, Province e Comuni.”
La Governance pre-rinnovo del Cdp presentava una componente femminile pari a circa il 40%, sia all’interno del Consiglio di Amministrazione che del Collegio Sindacale.
Le più recenti indiscrezioni hanno tuttavia lasciato trapelare scenari preoccupanti: sembrerebbe infatti che le parti politiche della maggioranza, che hanno voce nelle scelte del MEF, vogliano indicare solo nomi maschili, contro un solo nome femminile, proposto dalle Fondazioni.
Secondo un articolo di Andrea Greco, comparso su La Repubbica all’inizio del mese corrente, la soluzione prospettata sarebbe quindi la seguente:
-Aggiungere al CdA CDP il nome di una ulteriore donna a fianco di quello di Lucia Calvosa (indicata dalle Fondazioni) arrivando a 2 donne su 9 membri (22,2%);
-Individuare 3 donne su 5 membri nella Gestione Separata (60%);
-Unire in una lista unica di 14 membri i nominativi per il CdA di CDP e per la Gestione Separata;
-Calcolare la quota di genere sul totale (pari al 35,7% – 5 donne su 14 membri);
–Modificare lo Statuto CDP non solo per introdurre la lista unica ma anche per eliminare l’indicazione dei “due quinti”,sancita nell’art. 15.1.
L’articolo ha scatenato una pronta reazione delle opposizioni, così come la richiesta di interrogazioni parlamentari e le proteste delle associazioni per l’empowerment femminile.
In particolare, l’ex Ministra Giovanna Melandri, oggi nel Cda di Kering, evidenzia, in un’intervista per La Repubblica, come il paventato taglio delle quote rosa nel Cda della Cassa sia segnale tangibile della scarsa rilevanza attribuita dal MEF alla leadership femminile in economia. Nonostante utili strumenti, quali i corsi di Valore D (prima associazione di imprese che promuove l’equilibrio di genere ed una cultura inclusiva per la crescita delle aziende e del paese), con 900 donne candidate e 50 profili utili per la nomina ai Cda, la destra – come ricordato da Andrea Greco, nell’intervista a Melandri – “sembra non riuscire ad individuarne quattro per rinnovare i vertici di Cdp”.
Nel 2023, anche la percentuale delle donne occupanti ruoli apicali avrebbe perso infatti tre punti percentuali.
Come individua Melandri “ il vincolo di almeno due quinti di donne nel Cda va assolutamente difeso, ma va anche incoraggiato l’accesso ai vertici.” “Non si può eludere il problema dell’empowerment femminile, specie con una premier donna, con un approccio accentratore e premoderno.”
Anche Monica D’Ascenzo, per Alley Oop, ricorda infatti l’importanza di far sedere “le donne nelle stanze dei bottoni.”
Come con sagacia messo in luce della giornalista, infatti :”Meno donne nei cda equivale a meno voci femminili nelle aziende, meno cambiamento culturale, meno porte aperte per le giovani che si affacciano nel mondo del lavoro e quindi meno crescita per il Paese tutto. Perché più donne nel mondo del lavoro equivale a più punti di Pil, se vogliamo farne semplicemente una questione economica. Banca d’Italia, qualche anno fa, aveva stimato che se l’occupazione femminile nel nostro Paese raggiungesse i livelli di quella maschile guadagneremmo 7 punti di Pil.”
Sino a lunedì 15 luglio, le incognite rimarranno molte, ed il giudizio (considerato anche il problematico andamento del rinnovo) appare quindi sospeso.
Contro un’unica certezza, vieppiù innegabile: l’efficacia della mobilitazione e della protesta collettiva contro un problema che ci tocca tutte, e tutti, da più vicino di quanto non sembri.
Si ringrazia per il supporto tecnico e scientifico la dott.ssa Laura Cavatorta