Le istanze femministe ci insegnano che non basta una donna al potere e ce ne vogliono diverse per riequilibrare il gender gap in politica. Eppure, oltre al genere di chi governa, va considerata una collaborazione proficua tra i vari Stati del continente e non solo. Ci sono da affrontare problemi legati all’ambiente, alla guerra e all’inflazione.
Il tutto in un periodo storico di grande rilievo e il cambio di guardia al governo inglese ne è testimonianza. Settembre 2022 sarà un mese che nel Regno Unito ricorderanno per sempre. In primis per la morte della loro amata sovrana, Elisabetta II, sul trono da settant’anni. Un lutto che ancora avvolge il popolo britannico e per l’incoronazione del figlio, Carlo III si parla addirittura di giugno 2023. Intanto l’attenzione è su un’altra Elizabeth, la premier Truss, nominata dalla sua omonima il 6 settembre, due giorni prima della dipartita.
Per capire il ruolo che “Liz” Truss ha a livello politico, può essere utile riepilogare come avviene la formazione del governo in UK. Una prassi derivante dalla cosiddetta “common law” che è ormai consolidata e che riguarda i principali schieramenti presenti nel Paese.
Nelle ultime elezioni, tenutesi nel 2019, il Partito Conservatore ha ottenuto la maggioranza dei seggi nella Camera dei Comuni, eletta a suffragio universale. Di conseguenza l’incarico di primo ministro è andato al leader del “Tory Party”, Boris Johnson. Personaggio controverso, soprattutto nel periodo della pandemia, si è dimesso il 7 luglio 2022 in seguito a un nuovo caso mediatico che lo ha visto protagonista.
La crisi di governo, secondo il sistema costituzionale vigente, non ha mai condotto al voto consistendo bensì in un automatico passaggio di consegne con chi diventa leader del partito di maggioranza. Ecco perché le primarie del 5 settembre 2022 hanno portato Liz Truss a diventare premier. Nata a Oxford nel 1975, è laureata in Filosofia e nonostante sia cresciuta in una famiglia progressista, ha assunto sin da giovane posizione diametralmente opposte.
Inizialmente ha lavorato in ambito aziendale per colossi petroliferi e della telecomunicazione, per essere poi eletta nel 2006 consigliera nel distretto di Greenwich, a Londra, e parlamentare nel 2010 parlamentare. Per quanto, come accaduto in Italia per Giorgia Meloni, si sottolinei che non sia vicina alle istanze del femminismo intersezionale, è apprezzabile il fatto che abbia scalato le gerarchie interne, rompendo il soffitto di cristallo.
Truss si è affermata nei campi più disparati, divenendo sottosegretaria all’Istruzione e successivamente ministra dell’Ambiente, della Giustizia, del Commercio internazionale, delle Pari Opportunità e, da ultimo, degli Esteri. Il suo modello è Margaret Thatcher, la Lady di Ferro, e le sue politiche sono orientate più all’imprenditoria che al lavoro in generale.
“Farò crescere il settore privato più velocemente del pubblico”, ha dichiarato al Telegraph che annunciava la candidatura. E se nei primi tempi sembrava più europeista, si è detta a favore della Brexit, di cui il suo predecessore è stato tra i principali fautori. Non vuole occultare i lati oscuri della storia del Regno Unito, ha fatto sapere, ma neanche sottostare alla “cancel culture”. Un disegno programmatico forte che ha dovuto rivedere quasi da subito: il taglio delle tasse ai ceti più abbienti, ad esempio, ha provocato forti squilibri economici e il crollo della sterlina.
Ne è derivato così un passo indietro per non incrinare ulteriormente una posizione già a rischio e il riavvicinamento agli “amici europei” per trovare soluzioni comuni, come ha dichiarato Truss in occasione del Summit a Praga, un incontro allargato a Stati non membri. La ripresa dal Covid-19 e il conflitto in Ucraina rappresentano un inizio complesso per gli anni Venti e di crisi economica sempre più evidente, da affrontare insieme.
Liz Truss è la terza “prime minister” dopo appunto Thatcher e Theresa May. Delle tre è stata la più giovane, 47 anni, a ricevere il mandato, continuando la tradizione per cui la sponda conservatrice resta l’unica ad aver espresso nominativi di peso al femminile. Ragionamenti analoghi sono stati fatti, in passato, in riferimento alla maltese Roberta Metsola, che da gennaio presiede il Parlamento Europeo e che proviene dall’area moderata, così come per la tedesca Ursula Von Der Leyen – dal 2019 a capo della Commissione UE – la quale si colloca nell’Unione Cristiano-Democratica.
Guardare con interesse e obiettività alle vicende internazionali è dunque fondamentale, perché politica vuol dire cittadinanza attiva ed è da qui che passa l’empowerment. La speranza è che, nel complesso, il vento del femminismo possa soffiare sempre, coinvolgendo tutte le parti in causa.
Foto di Simon Dawson