United States of A-bortion rights: la politicizzazione del diritto all’aborto nel dibattito americano 

La diffusione della bozza di opinione di maggioranza firmata dal giudice conservatore Samuel Alito della Corte Suprema Americana ha avuto l’effetto di un terremoto: sembrerebbe, infatti, che la Corte Suprema degli Stati Uniti sia pronta a rovesciare la storica sentenza del 1973 “Roe v. Wade” attraverso la quale l’aborto era stato liberalizzato a livello federale. 

Nonostante il giudizio fosse atteso per l’estate, la Corte, chiamata a prendere una  decisione sul caso DOBBS v. JACKSON WOMEN’S HEALTH ORGANIZATION e a valutare, dunque, la costituzionalità degli aborti pre-viability (ovvero effettuati prima che sussista la capacità di sopravvivenza autonoma del feto al di fuori dell’utero materno) sembra aver individuato la linea da seguire già nel mese di febbraio: quella del rovesciamento radicale di “Roe v. Wade” e della sentenza del 1992 “Planned Parenthood v. Casey” attraverso la quale erano state confermate le forti radici costituzionali della sentenza ‘madre’ liberalizzante l’accesso all’aborto.

Nell’affermare che “Roe è stata egregiamente sbagliata fin dall’inizio” il giudice Alito infatti argomenta l’impossibilità di continuare a fondare il diritto all’aborto nel 14esimo emendamento alla Costituzione Americana (due process and equal protection clause)  – non avendo il tema dell’aborto precedenti storici o costituzionali evidenti. 

Dobbiamo tornare indietro agli anni ‘70 per imbatterci in due ulteriori casi in cui una bozza di decisione veniva diffusa mentre un caso risultava ancora pendente. La divulgazione ha già intensificato il dibattito su quello che era il caso più controverso di questa legislatura. I motivi della propalazione rimangono ancora oscuri: alcune testate americane ipotizzano che si tratti di una mossa per influenzare le imminenti midterm elections, altre parlano di una defezione interna alla Corte al fine di sottrarsi ad un voto così pericolosamente divisivo e radicale nei suoi effetti immediati. 

Se la sentenza venisse confermata senza modifiche rispetto alla bozza resa pubblica, non solo la legge del Mississippi  arrivata fino alla Corte Suprema (che vieta l’aborto dopo 15 settimane di gravidanza con pochissime eccezioni), verrebbe valutata come legittima, ma il rovesciamento della sentenza Roe v. Wade significherebbe che le persone che vivono in oltre 20 stati diversi che vietano o limitano gravemente l’accesso all’aborto, dovranno viaggiare attraverso i confini statali per ottenere cure abortive o portare a termine la gravidanza indesiderata, con tutti gli oneri fisici ed economici che ne conseguono.

Secondo il giudice Alito, il ragionamento dietro a Roe v. Wade si è presentato come debole sin dall’inizio e non ha avuto che conseguenze dannose infiammando il dibattito e radicalizzando le divisioni sul tema. Perché, però, rovesciare Roe v. Wade, una sentenza emessa da una Corte Suprema fortemente conservatrice (e che nel 1973 poteva vantare addirittura 4 giudici nominati da Nixon) e che non aveva individuato nulla di politico ma tutto di medico e di privato nella questione dell’aborto?

La bozza di opinione di maggioranza osserva che non era compito della Corte legiferare su un tema così complesso, ma del popolo e dunque, del Congresso: “questa corte non ha né l’autorità né la competenza per giudicare queste controversie, e le speculazioni sulla pluralità di ‘Casey’ e la ponderazione dell’importanza relativa del feto e della madre rappresentano un allontanamento dalla “proposta costituzionale originale” che “le corti non sostituiscono le loro convinzioni sociali ed economiche al giudizio degli organi legislativi”. 

L’opinione raggiunge poi l’apice del ragionamento conservatore, in un passaggio che ha tutto il sapore di una provocazione culturale quando osserva che le donne “non sono senza potere politico ed elettorale” (p.61): rimessa quindi la discussione al Congresso e se particolarmente interessate al tema dell’aborto, è nel completo potere delle donne influenzare il processo leglisativo facendo lobbying, votando e candidandosi. 

Una morale, dunque, alle donne – e per essere più precisi, alle femministe – che dopo anni di battaglie per il diritto di voto e per un’equa partecipazione ai processi decisionali, hanno l’occasione di dimostrare di essere pari agli uomini nell’esercizio del potere. Uomini, poi, completamente esclusi dal ragionamento che emerge dall’opinione di maggioranza, quasi a ricordare nuovamente che se ‘l’utero è della donna e se lo gestisce lei’ lo deve saper fare anche a livello politico. 

La vice presidente Kamala Harris non ha tardato nel commentare la bozza durante un evento promosso da Emily’s List, un’organizzazione affiliata al Partito Democratico e che supporta candidate che lavorano per la promozione del diritto all’aborto a tutti i livelli: “siamo stati in prima linea in questa lotta per molti anni, tutti insieme, e ora entriamo in una nuova fase. Non c’è niente di ipotetico in questo momento. Le questioni delle donne sono questioni dell’America, e le democrazie non possono essere forti se i diritti delle donne sono sotto attacco. Quindi a tutti i presenti dico: combattiamo per il nostro paese e per i principi su cui è stato fondato, e combattiamo con tutto quello che abbiamo”.

L’opinione di maggioranza ha sollevato, perlomeno, un quesito importante: perché il Congresso degli Stati Uniti d’America non ha mai compiuto il passo di codificare il diritto all’aborto dopo Roe v. Wade? Dopo 49 anni di continui colpi assesstati all’impalcatura di Roe, la politicizzazione dell’aborto con l’elezione a Presidente degli Stati Uniti di Ronald Reagan nel 1980, gli attentati alle cliniche praticanti aborti, le sentenze Planned Parenthood v. Casey (che pur avendo confermato il fondamento costituzionale dell’aborto e inserito il criterio dell’onere eccessivo, per la prima volta attribuiva agli Stati il diritto di approvare proprie legislazioni limitando o regolando l’accesso alla pratica) e Planned Parenthood v. Gonzales (emessa dopo mesi di propaganda evangelica e conservatrice sugli inesistenti partial-birth abortions – aborti effettuati nel terzo trimestre) perché il Congresso non è mai riuscito a passare una legge sul diritto all’aborto?

La testata online The 19th* racconta come “ci sono stati tentativi da parte del Congresso di approvare un emendamento costituzionale che rovesciasse Roe, così come ci sono stati sforzi per codificare la decisione. Tutti sono falliti”. Il tema dell’aborto ha radicalmente trasformato la politica nazionale americana creando un abisso fra elettori e leader di partito: nel 2019 secondo il Pew Research Center addirittura 3 repubblicani e democratici su 10 non concordavano con la posizione assunta dal proprio partito di riferimento sull’aborto. 

Rimane sul tavolo il Women’s Health Protection Act, approvato lo scorso anno dalla Camera con un voto di 218 a 211. Si tratta di una legge che proibirebbe agli stati di approvare la maggior parte delle restrizioni ad aborti del primo trimestre. Vi si sono opposti tutti i repubblicani della Camera, insieme a Henry Cuellar del Texas, l’ultimo democratico anti-aborto della Camera. 

Il Senato deve, però, ancora esprimersi e anche se lo facesse nelle prossime settimane, è improbabile che il disegno di legge passi in un ramo a 100 seggi dove sono necessari 60 voti per superare l’ostruzionismo. La possibilità, dunque, che una legislazione federale arrivi sulla scrivania del presidente Joe Biden entro novembre – quando con le midterm elections i democratici potrebbero perdere il controllo della Camera, del Senato o di entrambi – è praticamente inesistente. Uno scenario che sembrerebbe già chiaro alla sinistra americana, visto che le uniche dichiarazioni rilasciate rispetto alla bozza di decisione della Corte Suprema parlano di ‘espandere la Corte’, come se la partita al Congresso sul diritto all’aborto non avesse possibilità.

Photo by Gayatri Malhotra on Unsplash

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  • Vittoria Loffi

    Vittoria Loffi è studentessa universitaria e attivista femminista. È autrice del podcast “Tette in Su!” prodotto per Eretica Podcast e fra le coordinatrici della campagna nazionale “Libera di Abortire” per un libero accesso all’aborto in Italia. Contributor e presenza attivissima de Le Contemporanee.

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