Roccella, De Carlo e Meloni. L’aborto in Italia non è mai stato tanto a rischio.

Dal “femminismo antiabortista” di Eugenia Roccella all’obbligo di sepoltura del feto proposto da De Carlo. Nelle ultime settimane se ne sono sentite veramente di ogni in merito all”interruzione volontaria di gravidanza, anche e soprattutto in vista delle elezioni del 25 settembre.

Al momento in cui sto scrivendo queste righe sono state tre le notizie allarmanti in grado di togliere il sonno a molte (uso il femminile sovraesteso come atto politico consapevole, lungi da me voler escludere altre identità coinvolte nella lotta e nella pratica pro-choice): Eugenia Roccella e il suo femminismo antiabortista, il Ddl proposto da Luca De Carlo sulla forzata sepoltura dei feti, travalicando la volontà delle persone coinvolte, infine Meloni con il diritto a non abortire che secondo lei non verrebbe rispettato. Ma andiamo con ordine.

La prima notizia, dicevo, risale a fine agosto e riguarda le gravissime dichiarazioni dell’esponente di FdI Eugenia Roccella durante un confronto con Laura Boldrini al programma In Onda, su La7. Roccella -che ricordiamo essere figlia di Franco, co-fondatore nientemeno che del Partito Radicale, oltre che autrice di un libro sull’aborto- ha dichiarato che lei, essendo una femminista, non ritiene l”ivg un diritto.

Di seguito le sue parole: “Io sono una femminista e le femministe non lo hanno mai considerato un diritto”. A detta della medesima si tratterebbe del “lato oscuro della maternità”, una “maternità che non è mai entrata nello spazio pubblico”.

Ora, tralasciando la parola Maternità, tirata in ballo a ogni singola frase esplicitata dalla politica in questione e la metafora grottesca utilizzata per parlare di quella che rimane a tutti gli effetti -almeno per ora- una risorsa, vorrei porre la seguente analisi riguardo a come simili dichiarazioni siano e saranno responsabili della disinformazione sull’ivg -a mio modo di vedere del tutto intenzionali- a cui stiamo già assistendo. Sul diritto all’aborto, naturalmente, ma anche sulla storia del femminismo italiano e su come la destra di Meloni stia cercando di cancellare dalla memoria collettiva quanto le donne abbiano combattuto e sofferto per ottenerlo. E di quante siano morte senza poterne usufruire.

Per chi tra noi ha studiato il femminismo nostrano e l’encomiabile impegno di figure storiche quali Emma Bonino e Adele Faccio -per citarne due- ascoltare certe baggianate può apparire oltraggioso oltre misura. Ma per chi, la maggioranza, non ha vissuto o letto di quegli anni, le parole di Roccella risulteranno credibili proprio perché ancora vige il convincimento tutto cattolico che un grumo di cellule possa vivere e sentire, che sia Altro dalla gestante e non invece parte della stessa. Tale differenza spinge a tralasciare i diritti della seconda anteponendogli quelli di qualcosa che, di fatto, è parte del suo stesso organismo, su cui ella dovrebbe decidere liberamente, e che invece la riduce a contenitore vivente di uno pseudo individuo! È l’oggettificazione suprema. La vera deumanizzazione nella tragedia attuale. 

Se consideriamo infatti l’aborto come un problema da prevenire -con la contraccezione 100% sicura che non esiste e l’educazione sessuale ammantata di proibizionismo bigotto come già si fa da anni nelle (poche) scuole in cui viene inserita- e non al contrario una risorsa per la nostra autorealizzazione come individue libere e consapevoli, è comprensibile che si preferisca l’opinione di Roccella e partito di riferimento.

Illudendoci che il mondo si divida in donne che vogliono abortire perché egoiste e/o sprovvedute -dopotutto sono le donne a doversi unicamente preoccupare della contraccezione, certo- e quelle che non vorrebbero “per ristrettezze economiche” si ha una visione semplicistica e unilaterale delle varie e complesse situazioni attorno all’ivg. Roccella ha chiaramente disinformato il pubblico spettatore negando quello che è e deve rimanere un diritto, e lo ha fatto seguendo la linea del suo partito, incurante di chi la storia italiana l’ha studiata ed è in grado di ragionare tenendo a mente il percorso che precedette l’approvazione della 194/78.

La seconda notizia riguarda le dichiarazioni di un altro esponente di FdI candidato in Veneto, il senatore Luca De Carlo. In un’intervista a Tpi l’11 settembre scorso ha infatti dichiarato che riproporrà anche quest’anno un disegno di legge per la sepoltura forzata dei feti -firmato assieme a Isabella Rauti e Lucio Malan- anche senza il consenso della donna coinvolta. “Se sembra normale che una vita venga smaltita come un rifiuto speciale -afferma- a me no. Io credo che sia vita pure sotto le 28 settimane. Una donna che decide per “x” motivi, forzata, di interrompere la gravidanza, avrà il diritto di poterlo fare, ma il feto avrà il diritto di essere seppellito”.

Ho cercato assiduamente per giorni le qualifiche che spingerebbero il senatore a 

parlare in tal guisa. Si sa che è cattolico e, da che mi risulta, ciò non corrisponde ad alcuna laurea scientifica, purtroppo per lui. Inoltre è sprovvisto di utero. Non sorprendiamoci.

Parlando seriamente, queste dichiarazioni minano le fondamenta di una serie di diritti, non solo femminili, tra i quali quello al consenso e quello alla privacy. Si parte dal presupposto che un’idea personale -altrimenti detta ‘opinione relativa’- possa e debba essere convertita in un ordinamento giudiziario volto a danneggiare la libertà altrui; questo da parte di chi non viene minimamente toccato in prima persona dalla suddetta spettanza. Il diritto all’aborto non obbliga infatti ad abortire, ma ne parleremo più avanti.

Le parole di De Carlo non possono non riportare allo scandalo dei cimiteri dei feti, presenti sull’intero territorio nazionale da decenni, ma la cui famigerata scoperta venne fuori l’anno scorso dopo che alcune donne vennero a conoscenza di come, all’interno del cimitero Flaminio di Roma, erano stati seppelliti i loro prodotti abortiti con tanto di nomi, cognomi e date di aborto. Noi facenti parte della campagna Libera di Abortire ce ne siamo occupate fin dall’inizio e ce ne stiamo attualmente occupando, e non nascondiamo quanto la situazione sia drammatica oltre l’immaginabile, anche grazie ai dati riportati dall’inchiesta Frantumi, progetto giornalistico di Flavia Cappellini e Gabriele Barbati.

Tornando alle dichiarazioni del senatore. È normale smaltire un prodotto abortito della donna o persona gravida senza cerimonie religiose? Se contiamo che, come ricordato poc’anzi, il prodotto è tale proprio perché facente parte del corpo gestante che lo ha sviluppato, allora SÌ. La donna ha il diritto di scegliere come e se smaltirlo,  sia tramite inumazione e successivo funerale, sia gettandolo via come si fa con il mestruo. Secondo, il concetto di Vita, qualunque esso sia, non può interferire con la scelta della donna che la conterrebbe (la metafora dell’incubatrice umana qui risulta inevitabile). Se anche fosse Vita, se anche considerassimo Vita un grumo di cellule senza coscienza (quindi senza alcuna percezione del dolore, vista l’assenza del sistema nervoso centrale), così come un feto antropomorfo, COMUNQUE la gestante ha il diritto di sceglierne la fine, di prevalere, di mettersi al centro e al primo posto, sia in caso di aborto terapeutico, sia in caso di ivg. Sempre. Sorvoliamo poi sui presunti diritti di un embrione. 

De Carlo sottolinea poi con quel “forzata” la presunta decisione involontaria della donna ogni qual volta ella decida di ricorrere all’ivg. Come se fosse innaturale 

abortire, una scelta contro natura per una donna la cui realizzazione troverebbe nella maternità il suo compimento esistenziale. Molto cattolico, me ne rendo conto. E molto maschilista.

Non c’è bisogno di ricordare come le donne abbiano sempre abortito dall’alba dei tempi, e lo abbiano fatto non solo con dolore, per coercizione o spinte da difficoltà economiche, ma anche e soprattutto per decidere sul loro corpo, per essere libere, per non assoggettarsi al ruolo di fattrici imposto dalla società patriarcale, per godere serenamente di una sessualità indipendente, ma soprattutto per decidere se e quando concepire, in base alle loro necessità individuali. 

Sembra quasi che il tanto parlare di diritto negato all’aborto stia scatenando, di contro, una fantomatica battaglia per il “diritto a non abortire“. Come se ci fosse una concreta minaccia alla crescita demografica, per nulla dovuta alle pessime politiche applicate in passato per il raggiungimento di un welfare degno di questo nome, il crescente gender pay gap sul lavoro e una concreta assistenza alla maternità non pervenuta (per non parlare del congedo di paternità, attualmente esteso a soli 10 giorni).

È notizia che Giorgia Meloni abbia dichiarato durante un comizio a Genova il 14 settembre come non intenda toccare la legge 194/78: “Vogliamo dare il diritto alle donne che pensano che l’aborto sia l’unica scelta che hanno, di fare una scelta diversa. […] Voglio applicare integralmente anche tutta la parte che riguarda il tema della PREVENZIONE, che non significa togliere diritti ma aggiungerli”.

Ho scritto in maiuscolo il verbo prevenire perché intendo ricordare che si prevengonoi problemi, non certo le risorse. Meloni, che mi auguro a questo punto abbia letto il testo completo della legge e non unicamente l’art. 1, lascia trapelare implicitamente il concetto secondo cui l’aborto sarebbe un’ultima spiaggia, un problema da scongiurare, una scelta drammatica e dolorosa per la maggioranza delle donne -quelle cisgender ovviamente- e non invece una decisione serena, felice, comunque personale e insindacabile. Riconoscere tale realtà sfaccettata sarebbe troppo sconveniente per la sua campagna.

Se in Italia ci sono donne che abortiscono, la soluzione non sarà certo convincerle a cambiare idea con una mazzetta o un discorsetto trasudante positività tossica. Che poi c’è da capire chi, quando e per quanto tempo elargirebbe supporto economico alla futura madre, senza contare quello psicologico di cui non si parla mai. Si sta sostanzialmente puntando all’obiettivo e non ai presupposti. 

Le motivazioni dietro la decisione sono fatti personali, ma raccoglierli tutti in un minestrone di retorica generalista senza contesti, di fatto nega l’esperienza individuale e colpevolizza la persona gravida. Parlare poi di mantenere inalterata la 194/78 con tutti i suoi errori, anacronismi, il linguaggio pietista e paternalistico, non in linea con l’evoluzione dei costumi sociali e culturali, significa usare la legge per ostacolare quel diritto che in teoria dovrebbe tutelare. L’art. 9 ne è l’esempio lampante: nella pratica esistono l’obiezione di coscienza e, seppur illegalmente visto che non si effettuano controlli, quella di struttura. E qui facciamo un doveroso appunto a Laura Boldrini, sicuramente più femminista di Roccella, ma facente parte anch’ella della generazione convinta che la suddetta legge sia perfetta e funzionante. 

No, la legge 194/78 non funziona bene, per niente. Lo sanno le donne svantaggiate che vogliono abortire e che si fanno ore e ore di macchina, quando ne usufruiscono certo, per trovare chi elargisce le pillole abortive in altre regioni. Se una legge tutela solo chi è privilegiata, allora è una legge da riformare. Punto.

Chiudendo con Meloni e le sue dichiarazioni non posso non pensare a un breve passaggio del capolavoro di Margaret Atwood, Il Racconto dell’Ancella, dove una delle antagoniste spiega alle future incubatrici umane che: “Esiste più di un genere di libertà, diceva Zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia, c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo.”

Non lo faremo, Meloni. Questo è certo.

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CONTRIBUTOR

  • Transfemminista, attivista lgbtqiapk+ e militante pro-choice, Lou è una persona transgender non binaria. Dopo la laurea in Beni Culturali ha iniziato a formarsi in gender studies, cultura queer, feminism and social justice. Ha conseguito un corso in Linguaggio e cultura dei CAV. Ha abbracciato la campagna "Libera di abortire" e collabora con diversi collettivi transfemministi. Fa attualmente parte di Gaynet Roma Giovani. È una survivor di violenza. Attualmente è content creator, moderatrice e contributor. Suoi obiettivi sono: continuare a svolgere formazione nelle scuole e diventare giornalista. 

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